La morte di Liliana Resinovich non è più un mistero, almeno secondo la Procura di Trieste. I magistrati con poche parole consegnate ad un comunicato chiudono il caso della donna di 63 anni scomparsa il 14 dicembre 2021 e trovata senza vita il 5 gennaio 2022 nell’area boschiva dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni, a Trieste.

Dopo oltre un anno di indagini, condotte “senza risparmio di energie da parte della Squadra Mobile“, per la Procura c’è “una sola ricostruzione“: “intenzionale allontanamento dalla sua abitazione” e “intenzionale decisione di porre fine alla propria vita“, dunque fu suicidio.

Un caso da archiviare e che fino allo scorso dicembre era aperto come fascicolo in Procura con l’ipoteso di sequestro di persona. Da oggi invece il mistero di Liliana sembra aver trovato la parola fine.

Nella nota della Procura i magistrati scrivono che non è stato possibile appurare se sia vero che il decesso sia avvenuto “lo stesso giorno della scomparsa, (come molte circostanze in fatto, puntualmente indicate nella richiesta di archiviazione, inducono a supporre) o se, alternativamente, sia vero che abbia voluto rimanere nascosta un paio di settimane ed abbia deciso di por fine alla propria vita solo pochi giorni prima del ritrovamento (come fa propendere la consulenza medico legale)“. In definitiva dunque non è stato possibile appurare la data della morte.

Eppure secondo il sostituto procuratore Maddalena Chergia, titolare del fascicolo, “non è necessario sciogliere tale dilemma per giungere all’archiviazione della vicenda: è sufficiente constatare che dalle indagini, scrupolosamente condotte, non è emersa, con un minimo di concretezza, alcuna ipotesi di reato specifica e perseguibile ai danni della deceduta”.

Decisiva per la scelta di archiviare il caso come suicidio la consulenza medico legale chiesta dalla procura guidata da Antonio De Nicolo in cui si evidenziava l’assenza di “qualsivoglia segno ragionevolmente riportabile a violenza per mano altrui” la mancanza “di lesioni attribuibili a difesa” e di altre ferite che avrebbero potuto impedirle di reagire a un’aggressione.

Dunque quella di Liliana Resinovich è stata una morta per “asfissia”, provocata dai sacchetti trovati intorno al collo, avvenuta “ragionevolmente circa 2-3 giorni prima” del ritrovamento del corpo.

Un esame ragionato dei complessivi risultati dell’indagine – i soli con i quali la procura della Repubblica, ovviamente, è tenuta a confrontarsi – non consente altre ipotesi, e dunque non legittima le illazioni arbitrarie e fantasiose germogliate qua e là nel gorgo mediatico che ha avviluppato questa vicenda e dal quale questo Ufficio s’è doverosamente tenuto lontano” scrive il procuratore capo Antonio De Nicolo nel chiudere la vicenda.

Redazione

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