Quella dell’altro ieri a Milano, convocata dalla Comunità Ebraica, è stata una serata talmente intensa emotivamente che non sono riuscito a rilassarmi nemmeno dopo essere andato via. Oltre mille persone accorse (“Una partecipazione che scalda il cuore e ci fa sentire meno soli”, mi dirà Ilan Boni, vicepresidente della Comunità a cui capo siede un personaggio mitico come Walker Meghnagi, davvero amareggiato) a commemorare le vittime degli attentati del 7 ottobre e chiedere il rilascio degli ostaggi.
Fuori, una parata di passeggini vuoti con ‘a bordo’ le foto dei bambini, uno persino di otto mesi, ancora in mano ai terroristi di Hamas. All’ingresso, due signori della sicurezza controllano le borse di chi entra, sorridendo.
Fa impressione che degli italiani, solo perché ebrei, debbano incontrarsi protetti da esercito e polizia, e non liberamente come tutti, persino chi, figlio della cultura della tolleranza occidentale, grida “morte a Israele”, che dell’Occidente è parte eccellente. Non a caso, il primo ringraziamento dal palco va alle Forze dell’Ordine, che ricevono una standing ovation interminabile.

L’atmosfera ha una sua certa, compostissima gravità. Sui monitor scorrono le foto degli ostaggi in mano ad Hamas. Salgo sul palco. Io, atarassico quando c’è da parlare in pubblico, avverto una tensione quasi paralizzante. Sapevo da prima, e capisco entrando in Sinagoga, che in quel tempio aleggiano paura, dolore, dispiacere e speranza. Ma anche incredulità e mortificazione. Per come alcuni nostri connazionali rivolgano grida di odio a gente che ne ha passate di ogni, che è sopravvissuta ai campi di sterminio e vorrebbe solo vivere in pace. Per come sembra rivivere un conato di barbarie che segna i volti di questo popolo mortificato dall’antisemitismo.
La platea è foltissima. In prima fila si staglia questa donna che ha visto il male in faccia ma ha due occhi così vividi, pieni di calda, compassionevole saggezza che la rendono bellissima. Liliana Segre, seduta in prima fila, ha appena tuonato, con una calma olimpica che trasudava triste rassegnazione, che “le è sembrato di esser vissuta inutilmente” se siamo ancora dobbiamo prendere atto dell’esistenza dell’antisemitismo. È incredibile per me doverle dare ragione. La rincuorano dal palco il Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e Marco Carrai, che invita la platea ad avere coraggio. Mentre rilancia la sua considerazione il Rabbino Capo, Alfonso Arbib: “Se i giovani rispolverano l’antisemitismo siamo di fronte a un fallimento educativo che ci coinvolge tutti. E al pericolo che l’antisemitismo venga venduto come una battaglia giusta. Stiamo attenti: chi compie il male ha un limite, chi crede di fare il bene, no”.

Poco prima, il racconto agghiacciante di due giovani sopravvissuti all’attentato al rave: “Abbiamo corso per 30 chilometri, sfiorati da mille pallottole, non c’era alcun posto sicuro, ma vi invitiamo ad andare avanti”. Nettissima nelle parole di tutti la separazione tra le bestie di Hamas e il popolo palestinese. Deludente l’assenza del Sindaco Sala, in un’occasione che davvero è stata densa di significato per tutti. Fischi della platea per lui, difesa per voce del Presidente Meghnagi, che però giustamente gli chiederà di condannare pubblicamente le manifestazioni di odio tenutesi in città. Non una parola di odio, o di risentimento verso i musulmani. Anzi. Nei vari, amarissimi interventi sono stati diversi i cenni alla speranza di fratellanza (presente anche l’Imam Pallavicini, autore di un bellissimo intervento) e al fatto che i palestinesi siano le prime vittime di Hamas, “da cui dobbiamo liberarli estirpandola”, dice il vice ambasciatore d’Israele Loir Keinan. Compostezza, dolore, speranza. E Liliana Segre, icona suo malgrado di come si possa sopravvivere al periodo più basso e criminale mai toccato dall’umanità, e rimanere delusi dalla modernità smemorata di oggi, che dovrebbe avere assimilato il germe della libertà per tutti, qualunque Dio preghino. Quanta differenza con le manifestazioni pro Palestina che di fatto sono pro Hamas, in cui si grida contro gli ebrei. A pensarci, è la differenza tra amore e odio. Impariamola.