Il tema della parità di genere nel mondo accademico manifesta un divario significativo tra ideale e reale. Guardando agli ultimi decenni, il progresso è prima facie notevole: tanto a livello nazionale che, soprattutto, europeo sono da segnalare politiche pubbliche che mostrano attenzione crescente al tema dell’uguaglianza. Oggi, ad esempio, ciascun ateneo deve redigere il bilancio di genere, strumento indispensabile per valutare l’impatto e l’adeguatezza delle politiche universitarie per il conseguimento della parità di genere, oltre che per accedere ad appositi finanziamenti messi a disposizione dal Ministero. Nonostante queste politiche, il divario nelle carriere tra uomini e donne continua ad essere presente in tutti i Paesi membri dell’Unione europea. In Italia, però, le cose vanno peggio.

In base al c.d. Gender Equality Index, parametro elaborato dallo European Institute for Gender Equality, nel 2023 la media europea dell’indice era pari al 70,2% (dove il valore 100 indicherebbe la vera parità di genere), mentre il valore stimato per l’Italia era 68,2. I valori del nostro Paese si allontanano ancor più dalla media europea nel rapporto uomini-donne in posizioni apicali della carriera, persino in quegli ambiti in cui si registra in partenza una sostanziale parità tra uomini e donne. Il lungo precariato che caratterizza le carriere accademiche, poi, penalizza soprattutto le donne, ferme in un limbo che ingloba qualsiasi progetto esistenziale di lungo periodo.

Il divario delle docenti ordinarie

Non essendo un’esperta in politiche di genere, mi limiterò a parlare della situazione nel mio settore scientifico-disciplinare, che è il diritto penale. Le prime donne ordinario risalgono al 1995, con incredibile ritardo rispetto ad altri settori. Sono diventata ordinario nel 2005, quando i professori di prima fascia erano 102 ma solo cinque di essi donne. Ho consultato i dati, costantemente aggiornati, sul sito Cineca: nel marzo 2025, gli ordinari di diritto penale in Italia sono 97, ma solo 17 sono donne. Certo, è un progresso rispetto a vent’anni fa, e tuttavia ancora lontano dall’essere soddisfacente: significativo il fatto che, ad oggi, non sia mai stata eletta una presidente nella nostra Associazione scientifica di settore.

La lentezza con cui il mio settore disciplinare affronta la questione della parità di genere è espressione di certa superficialità nell’approccio al tema dell’uguaglianza sostanziale tra i sessi. Sul piano della forma, nulla quaestio: i nomi delle nostre qualifiche professionali sono declinati al femminile, i convegni con soli relatori di sesso maschile stanno scomparendo, la nostra presenza negli organi accademici e nelle commissioni di concorso è garantita dalle c.d. “quote rosa”, le discriminazioni e le molestie sul lavoro possono essere segnalate ai consiglieri di fiducia e sanzionate come un tempo non sarebbe stato immaginabile.

Il “soffitto di cristallo”…

Eppure, qualcosa non torna. Le parole sono importanti, e alcune espressioni – tra cui spicca il “soffitto di cristallo” che noi donne raramente sfondiamo – non si possono più sentire. La declinazione dei nomi al femminile è passo necessario ma non sufficiente verso l’affermazione della parità tra i sessi. In base a un intelligente monologo scritto da Stefano Bartezzaghi per Paola Cortellesi, la nostra lingua tende spesso a mutare in peius il significato di lemmi maschili, se declinati al femminile. Pensiamo alla differenza di significato tra cortigiano e cortigiana, o alla peripatetica versione femminile – poco commendevole – dell’uomo di strada. Così, un conto è parlare di professore ordinario, che ci rimanda ai tempi in cui questa carriera aveva ben altro prestigio, un altro di ordinaria. L’aggettivo “ordinaria” evoca le cose banali, scadenti, addirittura deteriori.

Quote rosa adempimento forzoso

E deteriore è infatti la nostra presenza nelle commissioni di concorso: la “quota rosa” è una triste necessità che ricorda i panda, le riserve indiane, il recinto sacro. Nella maggior parte dei casi, si tratta di un adempimento forzoso che non avrà mai il suo omologo nelle “quote azzurre”: non, almeno, per molto tempo. Tra l’altro, nel nostro settore disciplinare le donne sono talmente poche da aver determinato il maligno fenomeno della continua richiesta di partecipazione alle commissioni di concorso ad un numero assai esiguo di docenti di sesso femminile, senza criteri di indispensabile turnazione. Per contro, il meccanismo delle “quote rosa” non è stato mai garantito, almeno fino ad ora, nella designazione delle commissioni di abilitazione scientifica nazionale, affidate ad algoritmi del tutto insensibili alle questioni di genere (e a molte altre questioni, ma questa è un’altra storia).

Femmina penso, se penso l’umano”, scriveva Edoardo Sanguineti nella sua bellissima Ballata delle donne. Questo penso quando vedo un numero crescente di giovani studiose intelligenti, libere e piene di progetti. E spero con tutto il cuore che a nessuna di queste giovani donne capiti di sentirsi dire da professori maschi di chiara fama, come mi capitò tanti anni fa, che la carriera scientifica si può fare, sebbene non raccomandabile, ma che il vero destino di una donna è quello di essere (solo?) moglie e madre.

Lucia Risicato – Professoressa ordinaria di diritto penale

Lucia Risicato

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