Corridoio di Filadelfia
L’ispezione egiziana al valico di frontiera a Rafah e il messaggio Al-Sisi a Stati Uniti e Israele
Il capo di stato maggiore egiziano, tenente generale Ahmad Fathy Khalifa, ha ispezionato venerdì lo strategico valico di frontiera di Rafah per valutare le misure di sicurezza da adottare al confine di Gaza lungo il conteso Corridoio di Filadelfia, fondamentale per la sicurezza di Israele e per questo le Forze di difesa israeliane vogliono a tutti i costi continuare ad assumerne il controllo. Ma cosa c’è dietro la visita del comandante egiziano a Rafah mentre i colloqui per il cessate il fuoco si sono arenati proprio su questa cruciale linea di confine tra Egitto e Gaza, unica via di accesso alla Striscia non confinante con lo stato ebraico?
La missione delle forze armate
Khalifa ha sottolineato che la missione principale delle forze armate egiziane è quella di preservare i confini del Paese in tutte le direzioni strategiche. Ma perché proprio ora vi è stata questa visita inaspettata che segue a una settimana di forti tensioni attorno al Philadelphia Corridor? Lunedì sera, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che Israele deve assolutamente mantenere una presenza militare lungo quel corridoio e mercoledì ha rafforzato la sua dichiarazione dicendo che l’esercito israeliano non si sarebbe ritirato dal corridoio fino alla seconda fase del potenziale accordo di cessate il fuoco previsto dalla proposta ponte presentata dagli Stati Uniti, quando saranno liberati tutti gli ostaggi ancora nelle mani dell’organizzazione terroristica palestinese. Hamas ha chiesto invece un ritiro completo delle truppe israeliane da Gaza, incluse quelle che controllano il Corridoio di Filadelfia.
L’accordo di cessate il fuoco originario, proposto a maggio dal presidente Joe Biden, comprendeva tre fasi, la prima delle quali era costituita da un periodo di sei settimane in cui Israele si sarebbe ritirato dalle aree densamente popolate di Gaza mentre gli ostaggi israeliani sarebbero stati rilasciati in cambio di prigionieri palestinesi. La seconda fase che sarebbe dovuta essere negoziata durante il cessate il fuoco iniziale di sei settimane, include il rilascio di tutti gli ostaggi e il completo ritiro di Israele da Gaza e la sostituzione totale o parziale delle forze di difesa israeliane lungo quel corridoio con una forza di sicurezza internazionale. La terza e ultima fase doveva essere concentrata sulla ricostruzione della Striscia. Ma questa proposta si è arenata e non è stato possibile incrementarla dal momento che sia Hamas che Il Cairo sono fermi nella loro richiesta del ritiro di tutte le forze israeliane dal corridoio, sin da subito.
L’uccisione dei sei ostaggi
Ora, dopo la terribile uccisione di sei giovani ostaggi da parte di Hamas e il rifiuto dell’organizzazione terroristica di giungere a un compromesso sul Corridoio di Filadelfia, il team negoziale statunitense sta per mettere sul tavolo una nuova proposta. Il corridoio di Filadelfia, istituito come zona cuscinetto negli accordi di Camp David del 1978, è da tempo punto di contesa tra Egitto e Israele. Nel 2005, dopo che le forze israeliane si ritirarono dalla Striscia, l’Egitto e l’Autorità nazionale palestinese (Anp) furono incaricati di supervisionare quella stretta lingua di terra. Nel 2007, dopo le elezioni a Gaza e in Cisgiordania, vinte a sorpresa dal movimento terroristico palestinese, il presidente Abbas dichiarò lo stato d’emergenza e convocò nuove elezioni, ma il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, non riconobbe alcuna autorità all’amministrazione in Cisgiordania e attaccò con razzi e bombe i membri di Fatah che furono cacciati dalla Striscia con inaudita brutalità, con una vera e propria caccia all’uomo e molti di loro furono torturati e giustiziati dalle milizie islamiste o lanciati giù dalle finestre dei commissariati o mutilati da folle inferocite, aizzate dai leader di Hamas che instaurarono il loro dominio a Gaza.
Le ragioni della visita
Dal maggio di quest’anno Israele ha ripreso il controllo del Corridoio di Filadelfia e da allora è rimasta ferma sulla necessità della sua presenza militare nell’area dal momento che Hamas usava quel passaggio per costruire una rete gigantesca di tunnel e contrabbandare armi a Gaza. La visita di Khalifa è avvenuta in risposta alle recenti perentorie dichiarazioni israeliane sul corridoio di Filadelfia per lanciare un messaggio a Gerusalemme teso a dimostrare che l’Egitto è seriamente intenzionato a mantenere un controllo su quel confine e che dunque vi è la ferma opposizione egiziana al controllo israeliano del Philadelphi Corridor. Il messaggio dunque è anche indirizzato a Washington che sta riformulando una nuova proposta di accordo negoziale. L’Egitto considera la presenza israeliana lungo quel confine come una violazione del suo trattato di pace con Israele e dunque non permetterà che ciò possa avvenire.
Il Cairo cerca di proteggere suoi interessi chiave. Certamente non vuole l’instabilità sul quel “confine poroso” con armi e combattenti di Hamas che vanno avanti e indietro, perché ha tutto l’interesse a salvaguardare la sicurezza della penisola del Sinai, ma non vuole nemmeno le forze israeliane su quel confine. La presenza dell’esercito israeliano nell’area determinerebbe un esodo massiccio di palestinesi da Gaza verso l’Egitto. Il Cairo ha già combattuto per anni una guerra di bassa intensità nel Sinai durante la quale ha sconfitto un’insurrezione da parte dello Stato Islamico, di al-Qaeda e di altri gruppi islamisti. Il conflitto si è concluso con una vittoria militare egiziana all’inizio del 2023.
Pochi giorni dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, il presidente Abdel Fattah al-Sisi dichiarò che gli abitanti di Gaza sarebbero dovuti “rimanere nella loro terra”. Inoltre il governo egiziano teme l’esplodere di una crescente rabbia interna nei confronti di Israele per la guerra a Gaza che sta provocando un numero elevato di vittime. Il governo ha già represso numerose proteste contro la guerra a Gaza. Il Cairo vuole affermare la propria sovranità su quel confine anche per non sembrare remissivi rispetto alle richieste degli israeliani.
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