Attesa, prevista, e per la prima volta addirittura annunciata con un giorno di anticipo, ecco, puntuale, la risposta di De Luca a Salvini. Il quale aveva osato provocarlo a proposito dei festeggiamenti di piazza dopo la vittoria del Napoli sulla Juve nella finale di Coppa Italia. Che fine aveva fatto l’uomo del bazooka anti-virus, anti-ammucchiate, anti-cinghialoni in tuta da jogging e anti-ricevimenti post laurea? Com’è – implicita conclusione – che contro i tifosi azzurri, gestori potenziali di un incalcolabile consenso, non ha avuto il coraggio di “sparare”?

De Luca: «Salvini è un somaro, un asino, un equino, un cafone, un uomo di Neanderthal, uno sciacallo, un fariseo e ha la faccia come un fondoschiena, per giunta usurato». E nel merito? Nulla, a parte una strizzata d’occhio ai tifosi (la cui gioia ora è legittima, mentre non lo era quella di un neolaureato) e tanti complimenti a Gattuso e alla squadra. Tutto questo dal sito della Regione Campania, con la bandiera italiana alle spalle. Salvini è stato colpito, certo. Ma anche il decoro istituzionale. E sarebbe ora di porre un argine a tutto questo. Secondo molti, a De Luca calzerebbe a pennello l’ossimoro del vino. Più invecchia più migliora, più matura più esprime vitalità. In effetti, calca la scena politica da quasi mezzo secolo, ma più passa il tempo più conquista il centro del palco: la sua popolarità non conosce parabole, diversamente dalla sua carriera che invece non è stata sempre lineare. Sottosegretario, mai ministro, sempre amministratore locale.

Ma calca la scena: questo è il problema. Gli piace teatralizzare la polemica al punto che il Foglio, un giornale amico, di recente lo ha paragonato a Maria Campi, la sciantosa trasteverina, che inventò il numero più richiesto nei café chantant: la “mossa”, il colpo d’anca che eccitava il pubblico e strappava l’applauso. Proprio come Ninì Tirabusciò, la protagonista della canzone resa celebre da Maria Campi, anche De Luca piazza la sua “mossa”, la sua battuta, la sua graffiata polemica, al momento giusto. Ieri, addirittura all’inizio della diretta Facebook, essendo la platea già calda, pronta ad accoglierla. Ma riecco il problema. Il modello ispiratore di De Luca è decisamente Togliatti. Colto e impareggiabile polemista, anche Togliatti graffiava, offendeva, e spesso era greve, addirittura volgare. Le sue aggressioni verbali erano però programmate, non programmatiche.

Per questo, a nessuno è mai venuto in mente di allineare il mitico segretario del Pci a Ninì Tirabusciò. De Luca, invece, accetta, anzi, cerca e suggerisce simili paragoni, e quasi se ne vanta. Così come gli piace sentirsi dire che ormai ha superato in presenza scenica Maurizio Crozza, il suo miglior imitatore. Nel suo caso la “mossa” diventa un fine, non un mezzo. E il rischio è evidente. Dietro l’angolo, se non una macchietta, c’è in agguato una maschera del teatro dell’arte: popolare e amata, ma pur sempre regionale e mai rappresentativa dello spirito nazionale. Perché andarle incontro? Tra l’altro, De Luca dovrebbe riflettere anche su un altro aspetto della vicenda.

Anche ieri la performance antisalviniana è stata accolta con le solite ovazioni da stadio da parte dei fan. Eppure, questa volta la sensazione è stata di un rito nel rito; che chi, dopo il bazooka, si aspettava da De Luca il ricorso al fucile smaterializzante dei ghostbuster sia rimasto in realtà deluso. Il fatto è che le battute contro Salvini non gli vengono bene. Cosa vuol dire, come anche lo ha appellato, “somaro geneticamente puro”? E sfotterlo per il rapporto non coltivato con la Isoardi? Così chi ha colpito con questi toni, da questi stessi può essere affondato.