È un coro. Mentre volano schiaffoni tra toghe, i magistrati se la prendono ancora una volta con i politici. «Ci stanno delegittimando», dicono ex pubblici ministeri famosi come Giancarlo Caselli e Armando Spataro, e subito fa eco la magistratura associata. Si sono tirati la zappa sui piedi da soli, con i loro intrighi e le lotte di corrente e fanno la recita degli indiani assediati dalle carovane dei cowboy. L’ ex pm Armando Spataro dice che «è peggio che ai tempi di Mani Pulite». Dimenticando quali furono, ai tempi, i ruoli di vittime e quelli di carnefici.

La corrente fondata da Piercamillo Davigo,Autonomia e Indipendenza”, dice addirittura che qualcuno vuole ammazzarli tutti, i magistrati, dopo averli delegittimati, come accaduto a Giovanni Falcone. Con un po’ di confusione, perché quello che loro chiamano “dossieraggio” è un malloppo di carte processuali secretate, passate di mano in mano non tra politici ma tra magistrati, fino ad arrivare alla Postina della val Gardena, quella che bacia solo con la luna piena (copy Guzzanti) e poi ai giornali. Quindi non si capisce chi voglia assassinare chi. Il comunicato usa un linguaggio da guerra tra bande, mentre lancia il sospetto che la difficoltà che sta vivendo, sotto gli occhi di tutti, il mondo delle toghe, possa «ingenerare, in uomini che mai hanno tollerato il controllo di legalità, l’idea che sia giunto il momento di regolare i conti e confinare finalmente il potere giudiziario in un angolo inoffensivo». Strano modo di vedere la divisione tra i poteri dello Stato.

Pare quasi una visione da mezzogiorno di fuoco. Come se ci fosse la banda dei politici che sta appostata in attesa di vendicarsi, di “regolare i conti”. Quali conti, quelli del cosiddetto controllo di legalità di cui non parla nessun codice, o invece quelli di processi senza regole e custodie cautelari finalizzate a confessioni e chiamate in correità, in violazione delle norme del codice di procedura? Stiamo parlando di Mani Pulite, o davvero dei tempi in cui volavano i corvi in Sicilia, e Giovanni Falcone prima di essere ucciso era stato isolato e calunniato? Ma da chi? E chi sarebbero oggi i “migliori uomini” calunniati e “fatti oggetto di oscuro dossieraggio”?

Alle cronache risulta che un pubblico ministero di Milano, Paolo Storari, ritenendo che il suo capo Francesco Greco stia sottovalutando le dichiarazioni dell’avvocato Piero Amara sull’esistenza di una loggia massonica di nome Ungheria composta tra gli altri anche da magistrati, abbia privatamente consegnato carte secretate all’ex collega Davigo, membro del Csm, e che questi, guardandosi bene dal protocollare e consegnare i verbali in via formale al direttivo del Consiglio, abbia lasciato le carte in ufficio dove una segretaria, trasformatasi in Postina, le avrebbe inviate ai giornali. Questo dice la cronaca dei fatti. Si può anche aggiungere che i quotidiani cui si era rivolta la Postina non avevano pubblicato, che poi le carte erano arrivate anche al consigliere Nino Di Matteo, il quale aveva denunciato il fatto, e che il procuratore di Roma Prestipino, con una sagace intuizione, aveva fatto perquisire non la casa di Davigo, ma quella della sua ex segretaria, la quale opportunamente aveva lasciato tracce del “malloppo” cartaceo e interrogata, si era avvalsa della facoltà di non rispondere. Fine della cronaca.

Ma volendo anche cercare il pelo nell’uovo, si potrebbe andare con la memoria a tempi non lontani, quelli del processo Eni i cui vertici erano accusati di aver versato una tangente milionaria a un ministro nigeriano e che è finito con una clamorosa assoluzione. Anche in quel processo ci fu a un certo punto un po’ di pasticcio tra pubblici ministeri e giudici milanesi. Perché il pm d’aula Fabio De Pasquale aveva cercato di far entrare nel dibattimento alcuni verbali dell’avvocato Amara (sempre quelli delle deposizioni davanti al pm Storari), che il Presidente Marco Tremolada non aveva accolto, peraltro senza sapere che in quelle pagine si parlava anche di lui. In seguito il procuratore Francesco Greco aveva inviato per competenza gli atti a Brescia, che aveva subito archiviato. Bella storia, eh? Anche in quel caso qualcuno aveva fatto “dossieraggio”?

Chi sono dunque, tra tutti questi, i magistrati che stanno rischiando di essere uccisi come Falcone, dopo esser stati calunniati come ai tempi di Mani Pulite? E chi sono davvero i corvi? Siamo alla follia. Mentre il Sistema che governa il mondo dei togati sta implodendo, pare che di nuovo, come trent’anni fa, la colpa sia tutta del mondo politico. Ci stanno delegittimando, continuano a gridare in coro. Ma basterebbe si guardassero allo specchio, è tutta lì l’origine del loro fallimento. Verbali trafugati e postine di cui non si sa se siano state fedeli o infedeli al capo, pubblici ministeri ribelli e membri (o ex) del Csm che riferiscono “a chi di dovere” mentre il signor chididovere immediatamente si smarca, e intanto si aprono inchieste più o meno misteriose in tre diverse procure. E poi un signore che accusa mezza alta magistratura italiana di aver complottato in modo masso-mafioso forse in piazza Ungheria a Roma, dove forse abitano famosi magistrati che forse sono vivi o forse morti. E altri magistrati che si scambiano carte a Milano perché sono vicini di casa e poiché portano la toga possono uscire anche durante il lockdown. Tutto questo è opera di Berlusconi, o di Renzi o di Salvini?

Se questo è il Sistema dei togati, viva la Casta dei politici, vien da dire. Dalla Casta al Sistema. È stato facile, trent’anni fa, per quelli che avevano vinto un concorso far fuori quelli che erano stati eletti dal popolo, chiamandoli casta, corrotti e comprati e venduti. È altrettanto facile oggi, mentre i magistrati si stanno azzannando tra loro, scambiandosi carteggi secretati, pugnalando alle spalle i propri colleghi, trafficando con corvi e postine e cronisti d’improvviso rispettosi del segreto investigativo, prendere di mira di nuovo i partiti. Sempre loro, i più deboli, quelli sempre pronti a dire “ho grande fiducia nella magistratura” mentre il pm sta loro mordendo il collo. Ancora una volta.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.