L’ultimo nemico che ci siamo costruiti è l’Olandese Cattivo. Il premier dei Paesi Bassi Mark Rutte, rustego brontolon dei conti, ragioniere inflessibile verso quell’appendice meridionale dell’Europa, così incline a spendere e spandere e non preoccuparsi mai di coprire le spese. Nel racconto di questi quattro giorni di trattative notturne-diurne, con stanze ufficiali in cui fare proclami e, come capita, mezzanini nascosti in cui annusarsi, vedersi e magari trovare un verso che aggiri muri che sembrano insuperabili, lui è diventato l’Olandese Cattivo, pronto a mettersi in mezzo alla strada della rinascita di un Paese prostrato dai mesi di clausura del Covid, dopo essersi disciplinatamente recluso e dunque in attesa del meritato premio o comunque del giusto riconoscimento da parte dell’Unione Europea. Che quelli di Bruxelles battano un colpo, che dimostrino che non siamo un’accozzaglia di paesi l’un contro l’altro armati, ma una squadra solidale che non lascia a piedi nessuno e soccorre nel momento massimo del bisogno!

Che l’Europa sia finalmente Europa e non ceda alle logiche di parte, agli interessi miei che non sono i tuoi, al pallottoliere disumano e cinico che non ascolta il grido di dolore e guarda solo al risultato di cassa, meglio se sia la propria! E invece che succede? Succede che nella Storia della Solidarietà e dell’Amore reciproco, salta fuori un ostacolo minaccioso e ostinato, il Cattivo, d’altronde nelle storie che si rispettano deve esserci almeno qualcuno che non sia d’accordo e venga a scompigliare il quadretto che doveva essere armonico e idilliaco. E il Cattivo, un po’ come il Lupo che attende al passo l’ignaro Cappuccetto Rosso, assume il volto di questo primo ministro di un paese che da sempre, nel nostro immaginario, associamo ai mulini a vento, alle dighe che formichine industriose hanno tirato su contro la potenza del mare, a un Carosello anni sessanta con protagonista una bionda fanciulla, gira, gira l’olandesina, e nei casi meno sereni al Flying Dutchman alla ricerca sul vascello fantasma dell’anima che lo salverà.

Rutte è diventato l’Antagonista, lui in prima fila a rappresentare una pattuglia arcigna e determinata a cui è stato dato un nome gentile, da etica protestante contrapposta a quella cattolica, come le formiche – appunto – alle cicale, “i paesi frugali”, che non fanno mai il passo più lungo della gamba, sanno quello che sta nel portafoglio e non vengono mai attraversati dall’idea malsana di allargarsi oltre i propri limiti. L’Olanda e con lei l’Austria, la Finlandia, la Danimarca e la Svezia. Tutti paesi, a parte l’Austria con la quale qualche contenzioso aspro l’abbiamo avuto, dalla Prima Guerra Mondiale al Sud Tirolo diventato Alto Adige, che hanno sempre evocato paesaggi invernali da cartolina, bellezze generose, in attesa di sciogliere il loro freddo nel sole del Mediterraneo, per non dire della Sirenetta di Andersen e di Pippi Calzelunghe.

E così il Rutte Cattivo non ha smesso di mettere paletti, di rendere impervio ogni passo in avanti che si provava a fare, di inventarsi controlli, barriere, tribunali che in ogni momento sorvegliassero l’andamento delle cose, con l’incarico di dispensare bacchettate e richiamare all’ordine la Penisola riottosa ad assumere gli auspicati comportamenti virtuosi. Fino a quel Superfreno di emergenza, da tirare in extremis quando non c’è un’altra possibilità e bisogna bloccare il treno andato fuori dai binari. Così ce lo hanno dipinto, giornali e telegiornali, al punto da attirargli le maledizioni della Penisola tutta, isole comprese. Con qualche dimenticanza, però, il che non vuol dire di dover giustificare in ogni caso quello che è sembrato un accanimento alimentato da un pregiudizio che il Paese non si merita. In realtà, dovremmo sempre ricordarci che il nostro punto di vista non è necessariamente il punto di vista e che ci aiuterebbe ricordare le nostre differenze per capire le altrui e non demonizzarle, pregiudizialmente. È ovvio che dobbiamo avere una nostra rotta, e vorrei vedere, specie in questa traversata così importante per il futuro. Così come sappiamo quanto l’Europa non sia affatto un sogno realizzato, ma un’operazione diveniente in cui la sommatoria non fa un tutto e la moneta unica non produce il miracolo di un’unità capace di imporsi con autorevole e equilibrata trasversalità alle diversità nazionali.

Non si tratta di difendere Rutte il Cattivo, si tratta semplicemente di capire come sia al tempo stesso il risultato di una ricostruzione narrativa e il precipitato di una situazione politico-culturale complessa. In cui ci stanno un deficit esponenziale, decenni di una politica che non si è mai posta fino in fondo il problema di un’adeguazione dello Stato alla modernità e al Dopo nel quale stiamo, di riforme che fossero veramente riforme, di corporazioni renitenti ad arretrare come gli interessi, gli affarucci, le congreghe, gli stati di mezzo, le galassie ormai multinazionali del crimine… e sullo sfondo gli stati e i depositi di una storia antica che il Sacro Romano Impero s’illuse di tenere insieme e che invece deflagrò nella diaspora dei regni nazionali e delle guerre di religione, perché Lutero non è il Papa di Roma, e la penisola fu a lungo un mosaico di corti bellicose, fucine di cultura eccelsa, ma rinchiuse nel loro perimetro e l’unità risorgimentale ancora oggi mostra crepe, sfasature, differenziali, massime tra il Nord e il Sud, tra l’inerzia resistente e il dinamismo che vorrebbe liberarsi ma alla fine dà sempre l’impressione di non farcela.

E poi cerchiamo di uscire da questo narcisismo nazionale, che alla fine rischia di essere piagnone, e accettare la dialettica e il confronto. Uscire dallo specchio e guardare se stessi e vedersi in quello che non è solo un panorama ma un campo fatto di differenze, legittime quanto le nostre e in ogni caso non solo antagonistiche ma uno specchio finalmente rovesciato in cui capire chi veramente siamo.