E infine, giunto allo stremo, a gran voce, grida: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni…», «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Un interrogativo angoscioso, quello che riporta Marco nel suo Vangelo (15, 34-35). Gesù il Nazareno lo sa che il suo sacrificio si inserisce in un disegno divino, di cui lui, consapevole e consenziente, è parte integrante. E tuttavia, quella disperata invocazione… Duemila anni dopo, che cosa possono invocare altri “sacrificati”, loro pure consapevoli ma non consenzienti?

Luca Coscioni, piagato (ma non piegato) da una malattia che non lascia scampo, la Sclerosi Laterale Amiotrifica, quante volte, avrà lui pure gridato “dentro”, e chiesto ragione della sua condanna pur innocente… Mille volte me lo sono chiesta; ho cercato risposte senza trovarne, pur avendo vissuto con Luca, e per Luca, tutto il Golgota del suo martirio. Appartiene all’imperscrutabile: perché tra tanti, proprio lui; e perché un percorso prima della morte atroce, così doloroso, angoscioso e angosciante? Senza scomodare l’inconoscibile, perché la tremenda solitudine sua e di noi suoi familiari? Perché tanta indifferenza e perfino fastidio da parte di una società che a parole si dice solidale, partecipe, e fissa tra i suoi doveri, nelle sue leggi, quello di sostenere il debole? Perché questo è accaduto, ai tanti Luca Coscioni, prima che mio marito Luca rendesse “politica”, nel modo letterale e sostanziale, la sua malattia. E accade ancora.

L’ho detto mille volte e mille volte lo ripeterò: non sono stati Marco Pannella e il Partito Radicale a strumentalizzarci. Piuttosto il contrario: Luca e io abbiamo strumentalizzato Marco e i radicali; li abbiamo deliberatamente usati, abbiamo imposto loro un fronte di lotta a cui non avevano pensato; siamo entrati nella loro casa, ma l’abbiamo abitata e vissuta, e imposto la nostra presenza.

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8 febbraio 1600: Benedetto Mandina, Pietro Millini e Francesco Pietrasanta, cardinali inquisitori, condannano per eresia Giordano Bruno. Il 17 dello stesso mese Bruno è condotto in piazza Campo de’ Fiori a Roma, denudato, legato ad un palo, la lingua serrata da una mordacchia per impedirgli di parlare; arso vivo. Le sue ceneri disperse nel Tevere. Solo 289 anni dopo lo scultore Ettore Ferrari, sostenuto da eminenti personalità (Giosué Carducci, Victor Hugo, Henrik Ibsen, Ernest Renan, Herbert Spencer), può realizzare il monumento che sorge al centro della piazza, vincendo le resistenze e le opposizioni delle autorità ecclesiastiche di allora.

E da allora quella statua è il simbolo del libero pensiero; della libertà di ricerca. Quella libertà che ancora oggi (e da quel rogo sono trascorsi 421 anni), minacciata, ostacolata, perseguitata. È una forzatura sostenere che i Giordano Bruno di oggi sono le persone che hanno condiviso il destino di Luca Coscioni? 421 anni fa, anche Luca sarebbe stato messo al rogo, colpevole di invocare quella dea che dovrebbe essere da tutti venerata e difesa: la libertà. Non lo hanno messo al rogo, ma la mordacchia, quella sì: hanno cercato in tutti i modi di impedirgli di fare e di “essere” politica. Le liste con il suo nome non ci dovevano essere, e non ci sono state. Sono saltati accordi politici con forze e partiti progressisti, timorosi di quel nome. Quel che è più grave, si sono frapposti mille e mille ostacoli a scienziati e ricercatori, cui si è impedito in ogni modo di poter fare ricerca: negando loro i fondi necessari, e costruendo attorno al loro “fare” selve e barriere sotto forma di leggi assurde e normative senza senso.

Nessuno intende tirare il presidente del Consiglio Mario Draghi per la giacchetta, ma una eco di tutto ciò la si trova nel suo intervento programmatico al Senato. Il presidente Draghi ci esorta a chiederci se abbiamo davvero fatto tutto quello che è in nostro potere, per non deludere le future generazioni, e ci sprona a dare «risposte concrete e urgenti» per non costringerli a «emigrare da un Paese che troppo spesso non sa valutare il merito e non ha ancora realizzato un’effettiva parità di genere». E ancora: «Occorre investire adeguatamente nella ricerca, senza escludere la ricerca di base, puntando all’eccellenza, ovvero a una ricerca riconosciuta a livello internazionale, per l’impatto che produce sulla nuova conoscenza e sui nuovi modelli in tutti i campi scientifici».

È quello che chiedeva Luca. Farlo, lavorare in queste direzioni è il modo migliore per ricordarlo, a quindici anni dalla sua morte; per erigere quel monumento a Luca che equivale a quello di Bruno; per aiutare i tanti Luca Coscioni senza volto e voce che vivono tra noi; perché non debbano più gridare anche loro: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni!”.

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LA STORIA

Luca Coscioni nasce il 16 luglio 1967 a Orvieto. È qui che parte il suo impegno politico quando nel 1995 viene eletto consigliere comunale. Lo stesso anno si ammala di sclerosi laterale amiotrofica e decide di dimettersi. Trascorre alcuni anni passando da un ospedale all’altro, da un ricovero a un altro, fino a quando gli viene definitivamente confermata la diagnosi iniziale. Nel 1999 decide di candidarsi alle elezioni amministrative. Questo è il momento in cui comincia a reagire veramente alla malattia e a ritrovare quella passione per la politica che aveva perso.

Nel mese di luglio scopre il sito dei Radicali e comincia ad interessarsi alle iniziative e alla storia di questo partito. Nell’aprile 2000 si candida nella Lista Bonino alle elezioni regionali in Umbria. Nel mese di agosto del 2000 diventa membro del Comitato di Coordinamento dei radicali. È così che inizia la sua avventura politica con Marco Pannella e Emma Bonino. Durante i mesi di campagna elettorale 48 Premi Nobel e oltre 500 scienziati e ricercatori di tutto il mondo sostengono la sua candidatura. Luca Coscioni muore il 20 febbraio 2006: la triste notizia è stata data in diretta a Radio Radicale da Marco Pannella.