I francesi amano sorprendere. La Francia, culla del laicismo radicale, è il primo paese occidentale ed europeo a ospitare al-Sharaa, colui che fino a pochi mesi fa, quando era l’emiro di Idlib, si presentava come l’inviato di Maometto, ora proclamatosi presidente della Siria dopo aver guidato, nel dicembre scorso, le sue forze islamiste filo al-Qaida e filo Isis alla cacciata del dittatore di Damasco.

Macron gli ha steso un tappeto rosso e lo ha ricevuto all’Eliseo, incurante del fatto che l’ex leader jihadista comanda solo una parte della Siria e che stenta ad affermare il controllo sulle bande armate sunnite frammentate, più o meno fondamentaliste, che hanno combattuto al suo fianco per cacciare il dittatore Assad dal paese. L’amministrazione di Sharaa ha stretto vari accordi con il capo dell’Eliseo recentemente e ha fatto un grande favore ai francesi. Ha affidato lo sviluppo e la gestione su vasta scala del porto di Latakia alla compagnia marittima francese SMASJM. L’accordo strategico tra l’Amministrazione generale dei porti terrestri e marittimi della Siria e la società francese era stato firmato il 1° maggio alla presenza di Sharaa nel Palazzo del popolo di Damasco. L’accordo preliminare sulla gestione del terminal container nel porto di Latakia era stato raggiunto a febbraio con un accordo trentennale del costo di 230 milioni di euro.

La società SMASJM investirà 30 milioni di euro nel primo anno e 200 milioni di euro nei prossimi 4 anni. Il bacino è di importanza strategica, sarà lungo un chilometro e mezzo e profondo 17 metri. Le grandi navi potranno attraccare nelle nuove strutture. La Turchia, pur da tempo coinvolta in Siria, spera ancora di acquisire asset e commesse per rimettere in funzione porti e aeroporti, ma si è fatta scavalcare dai francesi. C’è concorrenza per ricostruire la Siria e Parigi vuole battere tutti sui tempi e non importa se ciò dovesse comportare di chiudere gli occhi davanti a un regime che ha appena nominato Ahmad al-Hayes, un signore della guerra sanzionato dagli Stati Uniti, a capo dell’86ª divisione, una divisione chiave dell’esercito, responsabile di Raqqa, Al-Hasakah e Deir ez-Zor.

Forse a Macron non importa se questa è l’ultima di una serie di nomine controverse che contrastano con gli sforzi del nuovo presidente ad interim del Paese di seppellire il suo passato estremista. E non importa forse se Damasco, d’intesa con Ankara, non voglia sentir parlare di soluzione federale per la minoranza curda che controllano circa un terzo del paese ricco di risorse energetiche ed idriche, per quella alawita, nel Governatorato di Latakia e Tartus, e per quella drusa a sud di Damasco, per lungo tempo rimasta neutrale nel conflitto in Siria, protetta da Israele e che ora col nuovo regime islamista-sunnita si sente ancor più minacciata. La nomina di Ahmad al-Hayes, ricercato dal Pentagono, sembra segnare un duro cambio di rotta del leader di Damasco, mentre Macron gli ha promesso che Parigi continuerà a fare pressione per la revoca delle sanzioni europee finché il governo di Damasco continuerà a realizzare riforme significative.

Ma non si comprende quali siano state, finora, le riforme significative che avrebbe compiuto Sharaa dopo la conquista di Damasco. Probabilmente Macron allude al cambio del suo abbigliamento quando si è tolto il turbante, si è messo in giacca e cravatta ed ha accorciato la barba. “Se voi continuate su questa strada, noi continueremo sulla nostra”, ha affermato Macron, sottolineando che se Sharaa continuerà ad adottare misure positive, la Francia cercherà di spingere gli Stati Uniti a seguire l’esempio dell’Unione europea e a revocare le sanzioni dell’era Assad contro la Siria. “È nell’interesse di tutti, compresi gli americani, aderire al processo di revoca delle sanzioni”, ha affermato Macron, spiegando che ciò consentirebbe a milioni di rifugiati siriani di tornare a casa. I politici della destra francese hanno duramente criticato l’invito rivolto da Macron al leader siriano in seguito agli attacchi contro le comunità alawite e druse del Paese.

La Francia è stata uno dei primi paesi europei a inviare diplomatici a Damasco dopo la caduta del regime di Assad. Hanno issato la bandiera francese presso la loro ambasciata, chiusa dal 2011 dallo scoppio cioè della guerra civile. Non vi è dubbio che l’incontro possa essere interpretato come un segnale della volontà di Parigi di essere coinvolta nella ricostruzione della Siria, che la Banca Mondiale stima che costerà tra i 300 e i 500 miliardi di dollari, e di sostenere il governo di transizione. La Francia ha già donato alla Siria oltre 50 milioni di euro all’anno in aiuti umanitari. Intanto Sharaa conferma che la Siria ha avviato colloqui indiretti con Israele volti ad allentare le tensioni tra i due Paesi. Su spinta di Trump che chiede passi concreti per un graduale allentamento delle sanzioni, il leader di Damasco si è detto disposta a normalizzare i rapporti con Israele, a riconoscere lo Stato ebraico e non ha escluso l’adesione agli accordi di Abramo a certe condizioni.