Esteri
Il piano turco per il nord della Siria, parte l’operazione sunnizzazione. E Erdoğan si rafforza in Africa
L’obiettivo: affidare l’area settentrionale del paese all’Esercito nazionale siriano. Intanto Erdoğan media l’accordo Somalia-Etiopia e si rafforza nel Corno d’Africa
La guerra in Siria non è finita, diverse criticità vanno ancora risolte. La prima è la questione curda: su questa questione né Ahmed Al-Sharaa (alias al-Jolani) né tantomeno la Turchia garantiscono una soluzione pacifica. Ankara, diventata il dominus nella Siria nordoccidentale, ha obiettivi imprescindibili da raggiungere che mal si conciliano con le rassicurazioni che il leader della forza filoqaedista (Hayat Tahrir al-Şam) sta lanciando all’Occidente. Ecco perché la questione curda potrebbe far entrare in crisi le buone relazioni che Ankara intrattiene con HTŞ, un’organizzazione indipendente dal controllo turco.
Con la caduta di Assad, l’amministrazione Erdoğan ha puntato alla sunnizzazione di tutta la Siria settentrionale, pensando di farla amministrare dall’Esercito nazionale siriano (SNA). La Turchia ha un confine con la Siria di 911 chilometri e lo vuole libero dalla presenza delle forze curde: dal Mar Mediterraneo (a ovest) e fino alla triplice frontiera con l’Iraq (a est) che attraversa l’alta Mesopotamia tra l’Eufrate e il Tigri, una sorta di protettorato turco con la tanto agognata Aleppo, che alberga come un sogno nei cuori dei nostalgici e dei nazionalisti in Turchia.
Ankara vede grandi opportunità in una Siria settentrionale sotto la sua influenza anche per la realizzazione dei suoi progetti interni, come quello del ritorno di almeno tre milioni di rifugiati che ospita. A questo si aggiunge l’espulsione dei curdi dal suo confine sudorientale per creare la “grande area sunnita” amministrata dalle sue forze per procura, dove ha già creato un modello di governance in seguito alle sue quattro operazioni anti-curde. Questo modello comprende un governo siriano ad interim, l’Esercito nazionale siriano, una governance locale basata sulle assemblee e un’economia locale integrata.
Ma un governo di transizione incentrato su Damasco dovrà affrontare questioni chiave come l’accesso alle risorse energetiche, alle riserve idriche e alle aree agricole: quasi tutte queste preziose risorse si trovano nella Siria orientale, controllata dalle Forze democratiche siriane (SDF) a guida curda sostenute dagli Stati Uniti. HTŞ dunque, potenzialmente, avrebbe tutto l’interesse a negoziare con le SDF per assicurarsi l’accesso alle risorse. Come il petrolio dei giacimenti petroliferi di Deir Ezzor, dove 900 unità militari degli Stati Uniti proteggono con le loro basi i gruppi curdi. Ma la Turchia non vuole assolutamente accettare la presenza delle SDF nelle città chiave a maggioranza araba della Siria orientale.
Ankara in queste ore ha ammassato truppe e mezzi militari lungo tutto il confine con la regione siriana sotto il controllo curdo. Qui si trova la roccaforte curda di Kobani, la storica città già assediata dall’Isis nel 2014 e poi liberata grazie alla resistenza delle Unità di protezione del popolo (YPG) e all’aviazione americana. Dopo 10 anni rischia di cadere di nuovo per il piano presentato in tre fasi dal ministro degli Esteri Hakan Fidan, che ha detto a chiare lettere: “O le forze curde si dissolveranno da sole o saranno eliminate”.
Il Pentagono ha concordato con le SDF un cessate il fuoco a Kobani, al quale la Turchia e le sue forze per procura non hanno aderito. Il comandante delle forze curde, Mazlum Abdi Kobani, ha proposto la creazione di una zona demilitarizzata nella città di Kobani con la ridistribuzione delle forze di sicurezza e la presenza degli Stati Uniti. Ma l’ipotesi non è stata nemmeno presa in considerazione da Ankara. Erdoğan ha risposto dicendo: “Non trattiamo con organizzazioni terroristiche”.
La presa di Damasco non sarebbe potuta avvenire senza il via libera e il supporto di Ankara e, mentre Assad veniva rovesciato e fuggiva dalla Siria, Erdoğan mediava un accordo di riconciliazione tra Somalia ed Etiopia. Per una settimana il presidente turco ha vissuto come in un sogno: la Turchia è tornata al centro dell’attenzione internazionale! Somalia ed Etiopia hanno firmato ad Ankara una dichiarazione congiunta. In poco più di una settimana vi è stato il rovesciamento del regime di Assad in Siria e nello stesso momento due paesi africani si sono stretti la mano e hanno fatto la pace nella Capitale su iniziativa del presidente.
La Somalia e l’Etiopia si impegnano formalmente a rispettare reciprocamente l’unità territoriale e la sovranità e convergono sulla riduzione delle tensioni. Nella dichiarazione si afferma inoltre che è stata concordata la collaborazione per consentire all’Etiopia un accesso affidabile, sicuro e sostenibile al mare. La Turchia ha pubblicamente sostenuto l’integrità territoriale della Somalia, con la quale ha una stretta cooperazione commerciale e soprattutto militare. L’Etiopia offre un potenziale maggiore in termini di commercio. La Turchia oggi è il settimo partner di importazione del paese, secondo i dati del FMI: Erdoğan potrebbe aver bisogno di nuove idee per placarla.
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