Il candidato presidente della Regione Lombardia per il centrosinistra, Pierfancesco Majorino, perde la sfida per la Regione ma può consolarsi con Milano: è il candidato più votato nel capoluogo lombardo, con il 46,83%, seguito da Attilio Fontana al 37,69% e Letizia Moratti al 13,83%. Tanto che ancora a caldo può commentare: «L’ottimo risultato della città di Milano, dove siamo saldamente in testa rispetto a Fontana, nonostante la presenza di Letizia Moratti, unitamente a quanto sta avvenendo in altre città è la conferma della ricchezza rappresentata dalle nostre esperienze di governo. Una buona base da cui partire anche per avviare un’opposizione propositiva e combattiva nei confronti della giunta Fontana».

Lei è stato il più votato a Milano. Ha sconfitto Fontana nel capoluogo lombardo. Che segnale è?
È una conferma che certamente non era scontata. Evidentemente a molti milanesi non va giù l’idea di una regione che non garantisce la sanità per tutti o che esprime grande chiusura sul piano dei diritti. Rispetto ad altre volte recenti poi questa vittoria in città è meno dentro la Ztl e più all’esterno di essa. La cosa, da militante del sociale, non può che farmi piacere.

Majorino, ce la racconta dall’inizio, la sua corsa? È entrato in campo con un Pd impaludato e indeciso…
Ho accettato di candidarmi quando la situazione era piuttosto complicata, perché il Terzo polo aveva deciso di far saltare il patto col Pd. A quel punto mi è stato chiesto di farlo e ho accettato assolutamente consapevole di dover condurre una sfida assai complicata.

Pentito?
No, non sono pentito anche perché, a parte l’esplodere del Qatargate che era inimmaginabile, le difficoltà mi erano assolutamente note.

Cosa ci vuole a sinistra per tornare combattivi?
Un sacrosanto senso del dovere e di attaccamento alla maglia, che poi vuol dire insistere rispetto alla necessità di cambiare politiche e scelte.

Il suo è un volto giovane ed è stato il più votato dai giovani. Ne ha visti al suo fianco in questa campagna?
Sì, grazie soprattutto all’esperienza dei Giovani Democratici. Del resto il più votato a Milano nel Pd è Paolo Romano ed è rimasto fuori di un soffio Lorenzo Pacini, entrambi under trenta e protagonisti di bellissime campagne elettorali. Detto questo, le ragazze e i ragazzi che ci hanno votato, spesso lo hanno fatto conoscendoci molto poco. Di questo dobbiamo essere consapevoli. E dirci che è un’apertura di credito che ci consegna una responsabilità. C’è una nuova generazione che va totalmente riconquistata. Ora ci vogliono passione, coerenza, concretezza.

Cosa farà per loro nel nuovo Pd?
Io credo che il Pd debba entrare davvero in un’ottica sanamento rifondativa. Essere trasparente, semplice, coerente. Proviamoci in questo modo.

E quale sarà il suo ruolo, nel nuovo Pd?
Innanzitutto quello di fare bene l’opposizione in Consiglio regionale. Dentro e fuori dall’aula.

E adesso chi appoggerà tra i due sfidanti alla segreteria?
Elly Schlein. Ma voglio sottolineare ancora una volta che ho avvertito al mio fianco tutti i candidati alla segreteria. Nessuno escluso.

Il M5s ha portato poco. Si aspettava di più?
Mah, forse qualcosa. Ma sono fiero del lavoro che abbiamo fatto sul piano del confronto e delle idee per la Lombardia. E ai critici domando: ci avremmo guadagnato ad avere un altro candidato del M5S alla presidenza, in alternativa a me ? Direi proprio di no.

E al Terzo polo che messaggio manda?
Di voglia di lavorare assieme dall’opposizione. Superiamo le fratture di queste settimane ma mi auguro che riflettano sull’insensatezza dell’operazione Moratti. Insensatezza che gli elettori hanno giudicato come tale.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.