La sconfitta, a sinistra, parte dal non voto. Meno della metà degli aventi diritto ha preso parte alle elezioni che consegnano Lazio e Lombardia al centrodestra. Il 35,17%, un terzo degli elettori, ha votato nella Capitale. Dati che parlano chiaro a proposito della disaffezione verso la politica e indicano qualcosa di più: sono stati soprattutto gli elettori sfiduciati dalle previsioni, incupiti dalle incognite sulla leadership che avrebbero disertato le urne. Dando corpo in definitiva ai timori della vigilia. E se il Pd tiene botta, riducendo le perdite, il Terzo polo non decolla e il Movimento Cinque Stelle frana.

Nel Lazio, D’Amato arriva al 36%. In Lombardia Majorino non arriva al 33%. Sono i due volti di una sconfitta che non lascia spazio a contentini di sorta: le opposizioni si preparano a una lunga traversata del deserto. Enrico Letta, che tra due settimane consegnerà lo scettro del Nazareno al vincitore delle primarie, può registrare una sostanziale tenuta del Pd, che in effetti nella media delle due regioni rimane sopra il 21%. Un recupero di due punti sull’esito delle politiche del 25 settembre che si basa, pur essendo regionale, sul campione di quasi otto milioni di elettori. Per il Movimento guidato da Conte è una débacle che prescinde dalle geometrie variabili con cui si sono presentati in coalizione: nel Lazio dove hanno corso da soli i 5S non superano il 9,5% (avevano il 27,3) e in Lombardia si fermano al 4,3% (avevano il 17,5%). Perdono cioè i due terzi degli elettori nella regione di Virginia Raggi e Alessandro Di Battista e si riducono a 1/4 dei consensi dove hanno siglato l’alleanza con il Pd di Majorino.

È il tramonto definitivo di un’era, l’attestazione di fine corsa di Giuseppe Conte. Lui finge di non averlo capito, se la prende con le «accozzaglie di cartelli elettorali che non ci avrebbero portati da nessuna parte». E poi giù: «Qualcuno sta già facendo delle dichiarazioni, suonando le campane a morte per il Movimento 5 Stelle, vedo che soprattutto da parte del Pd c’è grande concentrazione sulla nostra performance – dice Conte Io capisco che il Pd è in fase congressuale e ha i suoi problemi interni, ma ascoltare il redivivo Letta che sembra stappare bottiglie di champagne dopo aver consegnato il Lazio dopo dieci anni al centrodestra… io avrei poco da festeggiare al posto loro, ma se si accontentano di questo buon per loro…». L’analisi della sconfitta segnerà i prossimi giorni. Tutto, nel centrosinistra, deve adesso ricominciare da zero. Tutte le macchine devono essere resettate.

«Non possiamo essere contenti. Il fatto che il Pd rimanga la seconda forza politica e primo partito dell’opposizione può essere un viatico fondamentale per il lavoro del nuovo gruppo dirigente che uscirà dalle primarie del Pd del 26 febbraio». Sull’esito delle elezioni ha pesato la dinamica interna del Pd? Certo i dem non hanno potuto svolgere una campagna elettorale forte. E appena arrivano i dati, ecco che si riaccende lo scontro interno, ormai un duello Bonaccini-Schlein. Il primo punta a recuperare tutto lo spazio possibile che il bipolarismo di fatto – come ormai si vede dagli esiti del voto – tende a precludere a esperimenti diversi. «È la prosecuzione della sconfitta netta delle politiche. Può consolare che il Pd è la prima forza del centrosinistra e senza il Pd è impossibile l’alternativa, ma il Pd ha bisogno di cambiare, a partire dal gruppo dirigente. Bisogna tornare ad un partito molto più popolare. L’idea di una sinistra minoritaria, identitaria, ideologica? Non ne ho nessuna voglia. Non è quella la sinistra che serve, serve una sinistra riformista», dichiara Stefano Bonaccini. E se la prende con chi ha tentato strade alternative: «Non voglio delegare per forza i voti di sinistra a M5s o quelli moderati al Terzo Polo, voglio saper riconquistare anche i voti di gente che ha votato a destra ma non è diventata ideologicamente di destra».

E poi assesta il colpo indirizzandolo ai due alleati riottosi: “Se M5s e Terzo Polo vogliono continuare ad andare da soli si riveleranno i migliori alleati della destra”. Analisi condivisa anche da un altro dei competitor per la leadership dem, Gianni Cuperlo: «La morale? Che solo l’unità delle opposizioni può batterli e senza il Pd una alternativa vincente alla destra semplicemente non c’è. Non averlo capito un’estate fa è stata una colpa grave. Anche nostra. Non capirlo oggi sarebbe un crimine politico». Il bipolarismo torna a imporsi. Devono farci tutti i conti. Elly Schlein si tiene fuori dalle analisi, limitandosi a registrare una «sconfitta netta in Lazio e Lombardia, malgrado gli sforzi generosi dei nostri candidati e di chi si è speso per la campagna. Ora bisogna cambiare per davvero, nella visione, nei volti e nel metodo. Solo così si potrà ricostruire un campo progressista e tornare a vincere insieme». Il suo portavoce della mozione, Marco Furfaro, fa l’impertinente con Bonaccini: «Se Stefano, che è un politico navigato, vuole cambiare davvero il Pd voti per la Schlein».

Perfino nelle analisi della sconfitta i contendenti se le danno di santa ragione. A Roma, Alessio D’Amato con fair play telefona a Francesco Rocca per fargli gli auguri e preannuncia alla stampa “anni di opposizione dura alla Regione”. Nel suo comitato si fa vedere Luciano Nobili, di Italia Viva. Ha preso il 5%, alle politiche avevano ottenuto il 7,8%, è una battuta d’arresto. Da Milano, è lo sconfitto Pierfrancesco Majorino a tirare le somme della sconfitta: «Credo che gli elettori di centrosinistra meritino sempre una coalizione unita. La scelta del Terzo polo di rompere l’accordo con noi è stata sbagliata e fallimentare. Lascio al Terzo polo la discussione su di sé. Mi pare evidente che se era stato in Lombardia e anche a Milano la novità delle elezioni politiche, queste elezioni fanno prendere un colpo pazzesco al Terzo polo. Poi è anche vero che magari non avremmo vinto comunque. Non cerco facili alibi o vie di fuga, però la scelta di Letizia Moratti è stata rigetta in maniera enormemente significativa dagli elettori», le conclusioni del candidato del centrosinistra e del M5s in Regione Lombardia, Pierfrancesco Majorino. Il Terzo polo accusa il colpo.

Letizia Moratti fa sfoggio di ottimismo: «Da qui nasce un nuovo progetto politico. Siamo una formazione giovane, sono stati premiati partiti più strutturati che hanno sedi e candidati da tempo. Noi siamo molto giovani ma cresceremo». La tempra c’è, ma non basta a fare i conti con numeri deludenti. Tanto che pochi minuti dopo arrivano le dimissioni del segretario di Azione della Lombardia. Il Terzo polo non monetizza l’operazione Moratti e si ferma, per il Pirellone, ad un 4% scarso. Niccolò Carretta, coordinatore degli azionisti lombardi, non usa mezzi termini: «Il risultato è fallimentare e dimostra l’incomprensibilità delle nostre scelte che non sono stato in grado di contrastare». Carlo Calenda risponde a Bonaccini per incoraggiare i suoi: «Una certezza nella vita: il Pd non perde mai. E se perde è sempre colpa di qualcun altro. Caro Bonaccini, avete e abbiamo perso perché siamo minoranza in un paese che non vota. Occorre andare comune per comune a riprendere i voti. Politicismi e alchimie non funzionano».

Gli occhi dei maggiorenti dem sono puntati sulle mosse della leadership che dovrà ricostruire il Pd. Se la prende contro le strategie della sconfitta di Cinque Stelle e Terzo polo anche Piero Fassino: «Che la destra avrebbe avuto facile gioco a vincere in Lombardia e Lazio era preconizzato dall’assenza di uno schieramento democratico alternativo. Le scelte solitarie di 5 stelle in Lazio e di Azione-Italia Viva in Lombardia si sono dimostrate fallimentari: hanno spento ogni possibilità competitiva». Goffredo Bettini rilancia la partita del dopo-congresso: «Senza un campo largo delle forze democratiche, si può a stento salvare il Pd. Ma è certa la nostra sconfitta nella competizione con la destra italiana. Riflettano anche coloro che nel Pd hanno dimostrato insofferenza e persino dileggio circa la necessità delle alleanze, in particolare con i 5Stelle. Il Movimento di Conte, senza una prospettiva politica credibile e unitaria, manifesta una sostanziale e dannosa inutilità. Così come il Terzo Polo, nelle situazioni in cui decide di dividersi da noi e giocare una partita in proprio».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.