Una volta molti anni fa, quando non esistevano i social e comunque lui non lo conosceva nessuno, avevo scritto da qualche parte “Marco Travaglio ce l’ha piccolo”. Naturalmente non parlavo del cervello e neppure di quella cosuccia cui potrebbe alludere un pensiero malizioso. No, il mio cruccio era determinato dall’impossibilità di poter incrociare le spade con una persona così priva di senso dell’umorismo. Perché “ce l’ha piccolo”. E, poiché si sa che quel che distingue l’uomo dall’animale non è l’intelligenza ma l’ironia, possiamo stabilire, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Marco Travaglio è molto intelligente.

Val la pena (oddio, ho detto pena!) leggerlo ogni giorno. Con grande generosità e sprezzo del pericolo elargisce condanne, manette, carcere e pena capitale. Usa il sarcasmo, parente povero e frustrato dell’ironia. Prendiamo ieri, quando ha attaccato a testa bassa il Potente di turno, cioè il presidente del consiglio. Prima di capire se parlasse del Conte due (cioè l’attuale premier) o del Conte uno (il precedente) abbiamo dovuto rileggere due volte, nel dubbio che forse con lo sguardo all’indietro stesse distruggendo Gentiloni o Renzi. Macché, il Nostro stava coraggiosamente infilzando il potente di trent’anni fa, infatti chiama Bettino Craxi “il Buonanima”.

Così, tanto per essere sicuro che sia morto davvero, che sia stato condannato davvero, che sia stato sconfitto e sputtanato davvero. Che sia tutto così definitivo e che altri abbiano preceduto il direttore del Fatto nella tragica gogna mediatico-giudiziaria che ha perseguitato Craxi nel suo esilio ad Hamammet. Gli dà fastidio il fatto che, nel ventennale della morte, si parli di un grande statista che fino all’ultimo seppe lanciare nel programma di governo la modernizzazione come flessibilità nei rapporti con i cittadini, con le attività produttive, con la vita sociale. Un uomo di cui è impossibile dimenticarsi. In positivo, ormai quasi da parte di tutti. Tranne quelli del triste capannello in cui Travaglio si accompagna a Davigo.

Ogni giorno parla di catene, la grande ossessione del piccolo Travaglio. Così, se viene annunciata la pubblicazione postuma di un noir scritto di suo pugno dallo stesso ex segretario del Psi, non si può che chiamarlo “romanzo d’evasione”, in modo che lo stupido lettore sia indotto a immaginare una lima infilata tra le sbarre di una cella. Se poi il libro viene pubblicato dalla principale casa editrice italiana non è per meriti e neanche (paradossalmente) per appoggi politici, ma per complicità nei reati più turpi tra lo scrittore e l’editore: “Pubblicato da Mondadori, e da chi se no?”. Un bell’articolo 416 (e aggiungiamoci anche il bis, per non farci mancare niente) del codice penale, che accomuna nell’associazione anche il Corriere, reo di aver pubblicato uno stralcio del testo, e il Messaggero che ne ha fatto la recensione. Senza dimenticare la Stampa, messa al rogo per aver notato che il Pd sarà l’unico assente alla commemorazione ad Hammamet.

E il povero “compagno” Giorgio Gori, trafitto più di san Sebastiano, non tanto perché estimatore di Craxi quanto perché ex dirigente Fininvest, quindi anche lui facente parte del 416 bis. Naturalmente il libro, non essendo stato scritto da Travaglio né da Gomez o da altri nerboruti ragazzotti amici loro, è una cialtronata, mal scritto, “una cagata pazzesca”. Giù le mani dal senso dell’ironia di Fantozzi, per favore. Lui non ce l’aveva di certo piccolo.

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.