Quando le questioni personali si intrecciano con le responsabilità istituzionali il dovere di rispetto e di sobrietà dev’essere ancora più accentuato di quanto non accada normalmente. Soprattutto quando si parla del Capo dello Stato. La discussione che si è scatenata sull’ipotesi di una rielezione del presidente Mattarella non dovrebbe prescindere da questa premessa. Ciò non toglie che, oggettivamente, e al di là delle determinazioni che solo all’interessato spetta di assumere, il tema dell’elezione della massima carica dello Stato si presenta, oggi, nei termini di una complessità assolutamente inedita.

In questa occasione le variabili si complicano persino rispetto a quanto condusse alla rielezione di Napolitano nel 2013. In quel caso, infatti, la difficoltà derivava dal concorso tra una situazione politica molto intricata (elezioni appena svolte che non avevano prodotto un chiaro vincitore) e un ingorgo istituzionale: la sovrapposizione tra l’elezione del presidente della Repubblica e la formazione del governo in presenza di un Parlamento tripolare. Anche in occasione della prossima elezione presidenziale queste variabili conteranno. Sebbene, infatti, non ci sia formalmente un ingorgo istituzionale (a meno di crisi di governo a ridosso di quella scadenza) è evidente a tutti che, astrattamente, la scelta potrebbe coinvolgere anche l’attuale inquilino di Palazzo Chigi e conseguentemente porre anche il problema del governo. Un’altra analogia di contesto, e di complicazione, tra le vicende del 2013 e quelle di oggi è legata all’incidenza della variabile europea.

La crisi economica allora, la crisi economico-sanitaria di oggi, rendono le scelte istituzionali interne un fatto non semplicemente nazionale. Sia chi siederà sul più alto scranno, sia chi dirigerà la politica da palazzo Chigi dovrà esibire una legittimazione particolarmente autorevole e solida, da spendere anche sul piano sovranazionale e di fronte ai mercati. Oggi, però, a queste variabili – presenti anche all’epoca – se ne aggiunge un’altra, non meno rilevante e intricata: la data delle prossime elezioni politiche. Siamo, infatti, in presenza di un Parlamento la cui rappresentatività sostanziale appare quantomeno dubbia considerando il suo naturale “affievolimento” con l’approssimarsi della fine della legislatura e gli andamenti assai diversi (rispetto alle elezioni) dei vari partiti in questi anni, segnalati non solo dai sondaggi, ma anche dalle consultazioni elettorali intermedie, locali e regionali. Del resto nessuno dubita del fatto che, se non ci fosse stata la pandemia, è assai improbabile che questo Parlamento sarebbe oggi ancora in carica. La combinazioni di tutte queste variabili rende il puzzle dell’elezione del presidente della Repubblica, probabilmente, il più complicato della storia repubblicana, per la varietà di scenari che possono aprirsi a seconda della soluzione che si realizzerà.

Con riferimento all’ipotesi di rielezione del presidente Mattarella, e fermo restando, come detto, che nessuno potrà mai imporre all’interessato la scelta personalissima che lo riguarda, l’incertezza è destinata a protrarsi fino all’effettivo momento in cui il Parlamento in seduta comune sarà chiamato a votare il prossimo capo dello Stato. La questione è infatti essenzialmente politica, e a poco serve tentare giochi di prestigio cercando di chiedere alla Costituzione una soluzione che questa ha scelto di non dare. La rielezione, infatti, non è formalmente inibita dalla Carta e solo valutazioni di opportunità politica (oltre che personale, ovviamente) possono sciogliere il dilemma. Lo testimonia il precedente non contestato della rielezione di Napolitano, che conferma quanto già riconosciuto da tempo sia in sede scientifica che nella prassi costituzionale (tanto che i presidenti Segni e Leone, durante il loro mandato, inviarono alle Camere due messaggi per chiedere una riforma costituzionale che escludesse esplicitamente la possibilità di rielezione).

Fino all’inizio del prossimo anno, dunque, la pressione su Mattarella continuerà, malgrado le sue inequivocabili dichiarazioni di indisponibilità. Del resto anche il presidente Napolitano aveva, con altrettanta sincerità, manifestato lo stesso intendimento, arrivando fino a preparare materialmente il proprio trasloco dal Quirinale a Palazzo Giustiniani. Il precipitare drammatico della situazione, nel 2013, con le due successive bocciature da parte dei franchi tiratori nel segreto dell’urna, di Franco Marini e Romano Prodi, lo costrinse a rinunciare al proprio proposito. Ma nessuno, un anno prima, immaginava che sarebbe finita così.