L’imputato, che adesso è in carcere, ha chiesto all’avvocato se aveva avuto modo di vedere gli atti depositati dal Pm e che dovrebbero contenere le accuse contro di lui e gli indizi a suo carico. Vorrebbe iniziare a preparare una linea di difesa. L’avvocato ha fatto una faccia imbarazzata. “No, mi spiace – ha risposto – ancora non ho potuto”. L’imputato ci è rimasto male, ha balbettato una protesta, anche se in questi casi l’imputato si sente sempre in una condizione di debolezza, e dunque di inferiorità, nei confronti dell’avvocato, del Pm, del Gip, del Gup, della guardia carceraria…

“Come mai”, ha chiesto, timido. L’avvocato ha spiegato che ci vogliono i “picci” per avere gli atti, i “picci”, cioè i soldi. Bisogna pagare. L’imputato ha risposto, serafico: “Paghiamo”. Cosa bisogna pagare? I bolli sulle carte, e anche sui dischetti digitali. “Vabbè – ha detto l’imputato – non sarà questa gran cifra, due lire ce l’ho”. “È che costano molto questi bolli”, ha detto l’avvocato. “E quanto costeranno: cento, duecento, trecento? Chiedi a mia moglie, non c’è problema…”. No, ha risposto l’avvocato, costano 39 mila, che è una cifra un po’ più alta del tuo reddito annuo”. L’imputato è impallidito. L’imputato non ha 39 mila euro e non ha idea di come potrebbe farseli prestare. E poi, anche se trova chi glieli presta, come potrà fare mai per restituirglieli?

Non è mica una storia inventata, eh. È quello che sta succedendo in varie prigioni italiane dove sono stati rinchiusi circa 350 indagati nell’inchiesta Rinascita-Scott, quella coordinata dal dottor Gratteri. Qual è il problema? È che gli atti sono racchiusi in un volumetto di 450 mila pagine più alcuni allegati, con registrazioni audio e video. E la legge prevede che su ciascuna pagina degli atti, o su ciascun dischetto allegato bisogna pagare un tot. Stavolta, siccome si tratta di una maxi retata che ha coinvolto più di 450 persone, anche le pagine e i dischetti sono in un numero da record. E dunque anche le spese di bollo.

Dicono che gruppi di imputati un po’ più benestanti si stanno organizzando per comprare questi atti facendo una colletta. Tipo che si mettono insieme in dieci o venti imputati che si conoscono (stando attenti a non costituire per questo una associazione a delinquere…) e così se la cavano con due o tremila euro a testa e poi chiedono a qualcuno, pagando, di moltiplicare gli atti con le fotocopie o con i dischetti. Dicono che complessivamente gli atti siano concentrati in una memoria di circa un terabyte.

Io non ho mai capito bene cosa sia un terabyte. Mi dicono che una terabyte sia l’equivalente di un milione di megabyte, e che può essere agevolmente contenuto in 1400 Cd rom (o ancora più agevolmente in 212 Dvd da circa cinque giga ciascuno). 1400 Cd Rome non c’entrano in macchina ma 212 Dvd sì.

Adesso non voglio occuparmi della domanda maliziosa su quali possibilità esistano che i giudici del maxiprocesso (che tra qualche anno dovrà celebrarsi contro questi 450 presunti esponenti delle cosche di Vibo Valentia) leggano in tempo le 450 mila pagine. Vorrei porre solo un problema di giustizia, che peraltro non riguarda questo processo, ma tutti i processi.

Poniamo che io sia innocente (come statisticamente è molto probabile, visto che circa il 75 per cento delle persone che finiscono indagate, in Italia, vengono poi prosciolte o assolte), ma le cose non cambiano molto se sono colpevole: mi trovo a dover fronteggiare una pubblica accusa che sostiene che sono colpevole, e non solo ricevo subito la mia porzione di pena-subito che deriva dal carcere preventivo, o dalla gogna mediatica, o dal disprezzo sociale, o dalla perdita del lavoro, o dalla fine della mia carriera, o da tensioni familiari, etc…, ma devo pagare una bella cifretta per conoscere l’accusa che mi viene rivolta.

In questo caso di Catanzaro l’ingiustizia è macroscopica e grida vendetta al cielo. Ma anche quando è più contenuta, quando cioè devo pagare solo poche centinaia di euro, capite bene che è sempre un’ingiustizia insopportabile, che mi dice subito, con arroganza e spocchia: “Io sono lo Stato, io comando, io giudico, io decido e io, per cominciare, di punisco con una ingiustizia palese”. Chissà se c’è in giro qualche legislatore che ha voglia di correggere questo obbrobrio…

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.