La copertura di von der Leyen
Meloni a Washington per acquistare gas USA, ma i pacifisti vogliono fare affari con Putin

Ipse dixit. Paolo Mieli non è soltanto un autorevole giornalista, già direttore del più importante quotidiano italiano. Per le sue multiformi attività e per la sua presenza nel dibattito politico, potremmo definirlo il portavoce del “politicamente corretto” nella sua versione più alta, ovvero più oggettiva, intellettualmente onesta e meditata. Mieli ha dato dimostrazione del suo equilibrio anche quando, ospite in partibus infidelium, cioè di una rubrica televisiva pregiudizialmente ostile a Giorgia Meloni e al suo governo, ha espresso un giudizio ineccepibile – scevro dai servili trionfalismi e dalle critiche settarie e impotenti – sulla missione della presidente del Consiglio alla Casa Bianca. “Da questo viaggio americano Meloni si porta a casa il fatto che sia Trump sia Vance le hanno confermato il ruolo di essere l’interlocutrice loro in Europa – ha spiegato Mieli – Il famoso ponte. E siccome noi sappiamo che tutto il viaggio è stato preparato d’accordo con Ursula von der Leyen potrebbe voler dire che il tramite del rapporto con l’Ue passi per Giorgia Meloni. Poi mica è andata lì a mercanteggiare, non poteva portare niente di concreto. Secondo me – ha concluso – è andata bene”.
Meloni da Trump, un’iniziativa diplomatica difficile
Mieli non ha mai nascosto che le sue preferenze e il suo voto vanno agli avversari dell’attuale maggioranza, ma ha voluto dimostrare che non serve arrampicarsi sugli specchi per sminuire l’esito positivo di un’iniziativa diplomatica difficile, con un interlocutore strambo come Donald Trump a capo, tuttavia, di un Paese troppo importante per non tenerne conto. Anzi, sono proprio i teorici della rinuncia a difendersi quando l’avversario è più potente, del negoziato a oltranza, della disponibilità a fare concessioni per conseguire la pace ed evitare il pericolo di scivolare verso un conflitto nucleare; tutti costoro – sono tanti anche tra di noi – dovrebbero apprezzare l’iniziativa di Giorgia Meloni che si è presentata a Washington portando, come i Re Magi, dei doni molto più modesti delle concessioni per l’estrazione delle terre rare che Trump pretende dall’Ucraina. Lo scatenamento di una guerra commerciale sarebbe una specie di bomba N sganciata sull’economia e sulla condizione di vita dei popoli, ovvero un conflitto di portata nucleare, seppur combattuto con altri mezzi. Quanti criticano l’impegno ad acquistare gas liquido dagli Usa non dicono quali alternative propongono per pagare le forniture a prezzi inferiori. Per loro le soluzioni sono sempre state semplici: si cessa di armare Zelensky così la guerra finisce e si torna a commerciare con la Russia. Come prima, meglio di prima.
A Bruxelles con il cappello in mano
Ma anche per Meloni il pellegrinaggio a Washington è stato di lezione. Per anni i sovranisti hanno accusato i governi dei rispettivi Paesi di recarsi a Bruxelles con il cappello in mano per prendere ordini da Angela Merkel, mentre occorreva trovare la forza e il coraggio – loro ne sarebbero stati capaci – di battere i pugni sul tavolo (era questa l’immagine usata) contro le politiche di austerità, come se i nostri partner potessero spaventarsi per qualche gesto scomposto. In campagna elettorale Meloni promise che l’Italia si sarebbe misurata, in sede europea, con una “postura” diversa da quella solita.
La copertura di von der Leyen
Poi la premier ha capito subito l’antifona e si è adeguata. Ora è andata nella tana di Trump in stretto contatto e con la copertura di von der Leyen, ed è stata all’altezza delle difficoltà dell’operazione. Purtroppo c’è qualcuno della sua maggioranza (e dell’opposizione) che non ha ancora capito che i rapporti di forza non si misurano a parolacce, ma sulla base della rispettiva potenza politica ed economica. Presto anche militare.
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