Di certo c’è solo che la ratifica della riforma del Mes non sarà votata dal Parlamento prima dell’anno nuovo. Tutto rinviato al 2024, dunque. Grazie a una complicata gestione del calendario dei lavori di Montecitorio, infatti, è lecito prevedere con tutta probabilità che la Camera si esprimerà sul Meccanismo europeo di stabilità solo a gennaio del prossimo anno. Ufficialmente la conferenza dei capigruppo giovedì ha sì stabilito che la questione arriverà in Aula la settimana prossima, ma solo in coda a tutti gli altri provvedimenti già in calendario. Difficile che si troverà il tempo per il Mes. Poi è prevista la breve pausa natalizia e, a ridosso del Capodanno, sarà la volta della legge di bilancio. Ed ecco che siamo arrivati al 2024. Dietro a tutto questo, che è stato definito “auto-ostruzionismo” dall’opposizione, c’è la paura della premier Giorgia Meloni che il centrodestra possa procedere in ordine sparso.

È soprattutto l’atteggiamento della Lega a preoccupare Palazzo Chigi. Dal Carroccio, infatti, continuano a rivendicare la loro contrarietà alla ratifica della riforma del Trattato. Meloni, nel frattempo, sta provando a vincolare il sì del Parlamento al Mes alla riforma del Patto di Stabilità. Mentre la Lega, per bocca del capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, apre un mezzo spiraglio: “Ragioniamo su clausole di salvaguardia, che diano al Parlamento un potere di controllo sul governo”. Ma, nel Carroccio, a partire dal duo composto dagli economisti euroscettici Claudio Borghi e Alberto Bagnai, è prevalente la corrente di pensiero che non vuole votare la ratifica. Verso l’astensione anche il M5s di Giuseppe Conte. Che ribadisce: “Meloni voterà il Mes con il Pd, Italia Viva e Forza Italia”.

Proprio Conte e Meloni, negli ultimi giorni, sono stati i protagonisti di un duello sul Mes a colpi di fax e giorni segnati sul calendario. Il leader del M5s accusa la premier di voler votare la ratifica del Meccanismo, contraddicendo quanto detto in campagna elettorale. Meloni risponde, sventolando l’arma del delitto. Un “fax” in cui l’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio dà mandato all’ambasciatore presso la Ue di dare “l’assenso italiano a una ratifica a livello di governo che oggi purtroppo impegna anche noi”. Secondo Meloni, dunque, il secondo governo Conte ha dato l’ok alla modifica del trattato “un giorno dopo essersi dimesso, quando era in carica solo per gli affari correnti”. Conte risponde di non aver attivato il Mes e chiama in causa Meloni, che era ministro dell’ultimo governo Berlusconi nel 2011, che secondo Conte “ha introdotto il Mes in Italia”.

Solo che entrambe le versioni sono lacunose. È vero, infatti, che il sì italiano alle modifiche alla riforma del Mes è arrivato con il secondo governo Conte. Ma con un mandato parlamentare, non senza come afferma Meloni. La data da sottolineare è il 9 dicembre 2020, quando la Camera ha votato a favore di una risoluzione che impegnava il governo Conte a “finalizzare l’accordo politico” raggiunto in Europa “sulla riforma del trattato del Mes”. Risoluzione votata da tutta l’allora maggioranza, compreso il M5s. Anche se nel partito di Conte ci furono alcuni voti contrari. Ma è sbagliata anche l’obiezione di Conte, secondo cui il Mes è stato introdotto con Berlusconi. La trattativa per l’istituzione del Mes è cominciata nel 2011, ma il trattato definitivo è stato firmato a febbraio 2012 dal governo tecnico di Mario Monti e ratificato dal Parlamento a luglio dello stesso anno. La Lega votò contro, mentre il Pdl e il Pd votarono a favore. Tra i voti contrari del centrodestra quello dell’attuale ministro della Difesa Guido Crosetto. Mentre l’allora deputata Meloni era assente alla votazione.

Ora, invece, si discute della ratifica della riforma del Mes introdotto nel 2012. Una riforma arrivata con il via libera di Conte, ma il nuovo trattato non può essere operativo senza la ratifica di tutti gli stati membri. Una ratifica che non implica l’attivazione del Meccanismo da parte dell’Italia.