La fuga dei sette ragazzi dal carcere minorile Beccaria di Milano e i disordini che ne sono conseguiti, ha mostrato nude e crude tutte le falle di un sistema che, soprattutto perché rivolto a minorenni, dovrebbe rieducare. Restituire un futuro. Nei giorni della fuga e delle proteste dentro l’istituto, a parlare è Don Claudio Burgio, il cappellano del Beccaria e fondatore della comunità Kayros di Vimodrone. Lui che conosce bene i ragazzi che sono lì dentro, le loro storie, e vive la loro quotidianità, li ascolta, sta come stanno le cose.

Alcuni “pensano che non hanno niente da perdere, chiedono farmaci per calmarsi”, altri “scatenano risse”, la verità è che “il carcere per i minori dovrebbe essere l’ultima soluzione”, ha detto in un’intervista al Corriere della Sera. “Sembra che l’obiettivo primario di tutti sia, adesso, calmarli. Ma non li calmi, se non dai loro la prospettiva di potersi costruire giorno dopo giorno un futuro che a loro piace e interessa”. Racconta la quotidianità di questi ragazzi fragili dal passato sventurato ma dal futuro in divenire che può essere migliore, deve esserlo.
Racconta la situazione attuale nell’istituto: “Alcuni ragazzi non ce la fanno più, pensano di non avere niente da perdere, sono provocatori a livello verbale, temono nuovi trasferimenti in carceri lontane – dice – Spesso alla richiesta di farmaci per calmarsi o dormire la notte si acconsente ma anche la medicalizzazione, se diventa eccessiva, è un rischio: quando escono e tornano a casa o in comunità sostituiscono gli ansiolitici con le sostanze, pericolose a maggior ragione in presenza di disagi psichici. Dovrebbero riprendere a questo proposito laboratori trasversali e incisivi che informino sui danni dell’alterazione artificiale. I problemi sono molti, bisogna affrontarli uno ad uno con coraggio e spirito positivo, insieme a loro”.

Per il cappellano la detenzione per questi minori a rischio dovrebbe essere l’estrema ratio. “Ma il sistema fuori fa acqua – continua nell’intervista – Non ci sono abbastanza comunità strutturate al punto da voler accogliere i casi difficili. Servono figure adulte con grande esperienza e predisposizione ma gli educatori sono pochi sia al Beccaria sia fuori”. Quello che servirebbe è dunque una prospettiva diversa, il riuscire a vedere un futuro diverso per migliorarsi e questo non sempre è trasmesso negli istituti minorili. “Il carcere è l’ultimo presidio totalitario – spiega Don Burgio – un sistema dove per definizione si reprime la libertà. Un luogo di violenza, dunque. In particolare mettere un adolescente, pur autore di reato, dietro le sbarre troppe ore al giorno è contro natura. Il rischio è l’effetto stigmatizzante che rafforza l’identità criminale. Oggi, quando sono andato via, battevano tutti contro i blindi, un rumore assordante. Per evitare che la violenza prenda il sopravvento bisogna che i ragazzi non avvertano il Beccaria come luogo solo di reclusione ma che lo vivano come un ambiente formativo costruito per loro: solo così investiranno su se stessi”.

Racconta di quelle giornate “troppo vuote” passate in carcere con attività che “dopo il Covid sono ridotte e si svolgono quasi solo all’interno delle sezioni, per la paura e la fatica organizzativa di trasferire in sicurezza e gestire gruppi di giovani in cortile o in palestra e teatro, luoghi peraltro ristrutturati e bellissimi che è un peccato non utilizzare con regolarità. Gli agenti sostengono uno sforzo enorme ma cosa deve succedere perché il ministero capisca che serve rafforzare l’organico e dare più stabilità al personale in continuo turnover?”. Poi c’è l’altro grande tema, l’avviamento al lavoro e alla vita vera: “Servono aziende che investano in stage e tirocini: i ragazzi imparerebbero un mestiere e inizierebbero a guadagnare qualcosa con l’idea che iniziano a diventare grandi e dunque più responsabili”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.