Necessario dimostrare la pericolosità sociale
Migranti, Consulta: per piccolo spaccio e contraffazione non si respinge il rinnovo del permesso di soggiorno
Non può essere automaticamente respinta la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro in caso di condanna dello straniero per alcuni fatti di lieve entità. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con una sentenza che ha dichiarato la illegittimità costituzionale di alcuni articoli del decreto legislativo 286 del 1998 (Testo Unico Stranieri).
Tra le ipotesi di condanna che impediscono automaticamente il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle per il reato di piccolo spaccio e vendita di merci contraffatte. Sarà necessario dimostrare la pericolosità del richiedente e la decisione spetterà al questore, che dovrà eseguire le opportune valutazioni prima di negare il permesso.
Un sentenza in linea con svariate pronunce in cui erano state dichiarate illegittime disposizioni legislative che, nella materia dell’immigrazione, introducevano automatismi tali da incidere in modo sproporzionato e irragionevole sui diritti fondamentali degli stranieri. E in sintonia peraltro con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il legislatore è in sostanza “titolare di un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, tuttavia entro il limite di un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diritti e degli interessi coinvolti.” – ha chiarito la Corte.
A fronte della minore entità dei fatti di reato considerati, l’automatismo del diniego è stato ritenuto manifestamente irragionevole – “Sia perché, per le stesse condanne, nell’ambito della disciplina dell’emersione del lavoro irregolare, volta al medesimo scopo del rilascio del permesso di soggiorno, quest’ultimo non è automaticamente escluso, ma implica una valutazione in concreto della pericolosità dello straniero.”
Sia perché “l’automatismo del diniego, riferito a stranieri già presenti regolarmente sul territorio nazionale e che hanno iniziato un processo di integrazione sociale, è in contrasto con il principio di proporzionalità, come declinato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dunque, ha osservato la Corte, ben può verificarsi che la condanna, nei casi considerati, non sia tale da comportare un giudizio di pericolosità attuale riferito alla persona del reo, e ciò per varie ragioni: la lieve entità e le circostanze del fatto, il tempo ormai trascorso dalla sua commissione, il livello di integrazione sociale nel frattempo raggiunto.”
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