Il senso dei Maga per le braccia tese. Nella parafrasi di un famoso film di qualche anno fa possiamo ritrovare la serie di istantanee che, nel giro di pochi giorni, hanno colto, Oltreoceano, un tripudio di gesti che rimandano a un passato non propriamente felice. Prima Musk e poi Bannon hanno intentato una gara di virilismo iconografico che è durato giusto il tempo per inquietare gli spiriti democratici del globo e offrire la sponda a una politica che vive ormai di sussulti indignati a pronta consegna: la provocazione di qua e la reazione di là, in un copione sterile che ripete ogni volta la recita a soggetto. Ma, a ben guardare, occorre sottolineare alcuni aspetti che possono aiutare a tracciare una rotta per la comprensione di tanto attivismo muscolare.

Come far cadere nel tranello

Questa teatralità provocatoria è abile nel cogliere nel segno, fedele al motto “che se ne parli male purché se ne parli”. Musk e Bannon sono sufficientemente scaltri e spregiudicati e conoscono molto bene i meccanismi della comunicazione e come far cadere nel tranello chi altro non aspetta. Ma c’è di più. Diversi sono i due uomini e, peraltro, è nota l’indifferenza e il fastidio reciproci. Diverse sono anche le ragioni che li spingono a questi gesti.

Il superuomo Elon

Il magnate di Tesla ha scelto di essere sempre e comunque sopra le righe e di interpretare il ruolo del provocatore, per mascherare la fragilità del compito da riformatore di un sistema amministrativo che richiede impegno e pazienza. Senza certezza alcuna del risultato. Condizione inaccettabile per un personaggio che non concepisce alcun limite alla condizione cui ogni essere umano è relegato. Il suo presentarsi al convegno dei repubblicani con la motosega in mano risponde a questa baldanza tracotante più che alla fede in una visione neofascista. Musk si crede un superuomo in senso nietzschiano e lo manifesta al mondo con i gesti e le parole.

Bannon tutto fucile e distintivo

Bannon è diverso. La sua storia è quella di un nazionalista di estrema destra all’americana, tutto fucile e distintivo. Il suo braccio teso parla a quel tipo di mondo, ma anche per lui è uno strumento comunicativo più che una dichiarazione di adesione al nazismo o al post fascismo. E qui sta il punto che accomuna entrambi e il neo presidente: Trump si tiene a fianco entrambi, nonostante il malcelato reciproco disprezzo, perché è funzionale a rafforzare l’Opa del movimento Maga su ciò che resta del Partito repubblicano, ormai ridotto a uno scendiletto afono. E, ancor di più, per consolidare quell’American Exit iniziata il giorno dopo il voto. Il timbro della tracotanza che nessuno di loro risparmia, anche quando sarebbe prudente, è una dichiarazione di intenti per far comprendere al mondo che gli Usa fanno da soli e senza tante cerimonie. Ma, di nuovo, sebbene l’obiettivo primario (e forse unico) sia quello di rassicurare l’opinione pubblica americana, a partire dal presidente in giù, sciocchi non sono e ben sanno che la complessità e la competitività degli altri attori globali rendono arduo il compito per un’America che – al di là delle dichiarazioni – è un gigante fragile. E non da oggi.

E allora ecco il bisogno di creare una cortina di fumo e mostrare i muscoli del braccio teso. Sia ben visibile nel caso qualcuno voglia morderlo. Siamo pronti, dicono i Maga, e troverete pane per i vostri denti. Ciò non li rende meno pericolosi, ma questo è il tema. E dimentichiamoci del fascismo di andata e di ritorno. Una scappatoia troppo facile che non ha nulla di americano.