L’indagine di Openpolis sulla fuga dalle urne
Napoli, in 30 anni spariti 223mila elettori: così l’astensionismo sta uccidendo la democrazia

Dal 1993 a oggi, l’astensionismo nelle quattro maggiori città italiane è cresciuto addirittura di 28 punti percentuali. Il che, in termini assoluti, vuol dire che più di un milione e 600 persone hanno disertato le urne. Soltanto a Napoli, in meno di trent’anni, si sono persi ben 223mila votanti. È un dato forte, quello che emerge dallo studio che la fondazione Openpolis ha condotto all’indomani delle amministrative di Roma, Milano, Napoli e Torino. Un dato tanto forte quanto preoccupante, indice di una disaffezione nei confronti della politica che nel nostro Paese, da quasi trent’anni a questa parte, proprio non ne vuole sapere di diminuire.
In effetti, l’astensionismo è stato il convitato di pietra alle ultime comunali. Al primo turno si è attestato intorno al 52%, visto che a Roma ha votato soltanto il 48,54% degli aventi diritto, a Milano il 47,72, a Napoli il 48,17 e a Torino il 48,08. Se letti in serie storica, i numeri diventano ancora più allarmanti. Dal 1993 al 2021, nelle prime quattro città italiane si è votato sette volte e l’affluenza è calata dal 76,37 al 48,08%. Ma se Napoli piange, con i suoi 223mila votanti in meno, le altre città non ridono: Torino ha perso 300mila elettori, Milano 442mila e Roma addirittura 679mila. Che cosa dimostra tutto ciò? «Il trend negativo è evidente ed è dovuto ad almeno due fattori – spiega il filosofo e politologo Massimo Adinolfi – Il primo è la deideologizzazione della politica: ciò che spinge gli elettori a votare non è più l’appartenenza identitaria alla tradizione socialista, comunista o cattolica, ma i rapporti familiari, di amicizia o di interesse, o magari il generico senso civico. È un po’ quello che accade negli Stati Uniti, dove l’astensionismo è forte almeno quanto quello registrato in Italia proprio a causa del basso contenuto ideologico dell’offerta politica».
Oltre il venir meno delle ideologie, per decenni alla base della mobilitazione delle masse elettorali, bisogna fare i conti anche con la disaffezione verso la classe politica e l’offerta politica strutturata dai vari partiti e movimenti. «Questo è un elemento che pesa soprattutto nel nostro Paese – continua Adinolfi – Il vertiginoso calo dei votanti nelle quattro più grandi città italiane, Napoli incluse, è indice della scarsa fiducia che gli elettori nutrono nei confronti di chi ambisce a governare». Sono lontani, dunque, i tempi in cui le urne venivano prese d’assalto dagli elettori. Caso emblematico fu quello delle comunali romane del 1993, caratterizzate dal primo vero scontro bipolare tra il centrodestra guidato da Gianfranco Fini e il centrosinistra capitanato da Francesco Rutelli: in quella circostanza l’affluenza fu del 78,7% al primo turno e addirittura del 79,9 al ballottaggio, quando ai seggi si riversarono quasi due milioni di persone. Oggi, invece, l’affluenza al secondo turno supera a stento il 40%.
Ma dall’indagine condotta da Openpolis emerge anche un altro dato allarmante e cioè che sono soprattutto le periferie a disertare le urne. Basti pensare alle ultime comunali napoletane, quando il capoluogo campano si è diviso in due blocchi. Al primo turno, infatti, tra Secondigliano, San Lorenzo e Poggioreale l’affluenza si è attestata tra il 42 e il 45%, il che vuol dire che a votare non è andata nemmeno la metà degli aventi diritto. Nei quartieri del centro, invece, il dato è salito fino al 54%. «Questo accade quando i contenuti sociali della campagna elettorale sono scarsi – aggiunge Adinolfi – Alle ultime comunali, soprattutto in occasione dei ballottaggi, si è parlato soprattutto di temi come pandemia e fascismo che poco interessano a chi ha difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena. Così comincia quel pericolo percorso che porta la gente a ritenere che il voto non risolva alcun problema. E la conseguenza di questa defezione è una democrazia sempre più fragile».
Come se ne esce, dunque? Di sicuro migliorando la qualità dell’offerta politica. Il che vuol dire alzare il livello del ceto politico, delle proposte programmatiche e del dibattito pubblico. E questa è una sfida che tutti gli esponenti politici sono chiamati a raccogliere, inclusi i pubblici amministratori appena eletti come Gaetano Manfredi: «Per riportare la gente alle urne – conclude Adinolfi – i sindaci dovranno sintonizzarsi sulle frequenze degli elettori e cioè definire un’agenda che tenga effettivamente conto delle aspettative della popolazione. A Roma c’è da risolvere il problema dei rifiuti, mentre a Napoli c’è da rimettere in moto una macchina comunale ormai ferma da anni e garantire servizi come manutenzione e trasporti che al momento lasciano assai a desiderare. L’astensionismo si combatte con una politica capace di affrontare e risolvere i problemi delle persone».
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