«Napoli presenta un quadro politico “sfatto”: male la destra e pure la sinistra. E l’astensione al 47% è un fallimento per tutti i candidati sindaci. Il compito del nuovo primo cittadino? Dare una “forma” alla città». Piero Craveri, storico e nipote di Benedetto Croce, descrive il quadro politico locale dopo la chiusura delle urne.

Professore, come le sembra il quadro politico di Napoli?
«Mi sembra piuttosto “sfatto”. La destra ha presentato un candidato assai modesto e, tra l’altro, inopportuno. Non è possibile che un magistrato in servizio a Napoli si presenti alle elezioni della città. Mi auguro che venga approvata una  legge per impedire questo tipo di candidature. Per quanto riguarda la sinistra, credo che Manfredi sia un ottimo amministratore, ma parliamo di un’area politica ormai spappolata. La sorpresa di queste elezioni è stata la ricandidatura di Antonio Bassolino che conosce bene l’amministrazione di Napoli».

Parlando di centrosinistra, che influenza avrà su Manfredi il Movimento Cinque Stelle che probabilmente risulterà primo partito?
«Valutare cosa farà il M5S è molto difficile perché ho l’impressione che vada avanti giorno per giorno e di idee su cosa fare in prospettiva non ne abbia. Penso che i napoletani siano più consapevoli rispetto alla realtà che ha rappresentato il M5S, quindi non credo che avranno un grande ruolo. Quello che dovrebbe fare il Partito democratico, invece, è ricostituire una maggiore unità a sinistra. Deve darsi una mossa per ricompattare l’area tradizionale della sinistra e non andare a rimorchio di un Movimento del quale non si sa più quale sia la consistenza e i cui dirigenti non sanno dove e come lo condurranno. L’ex premier Giuseppe Conte cerca di tenere insieme il Movimento, ma non mi sembra che sia finora riuscito a dargli un’indicazione politica precisa».

A proposito del patto per Napoli siglato da Pd e M5S, il risultato di Napoli è un test attendibile in vista delle politiche del 2023 che, come ha recentemente chiarito il presidente della Camera Roberto Fico, sono il vero obiettivo di  democrat e pentastellati?
«Credo che come test sia più attendibile il patto stipulato in Calabria perché, in quel caso, è possibile misurare realmente il peso del M5S. Qui resta difficile stabilire il peso dei pentastellati. Napoli è considerata un laboratorio ma tutte le città che hanno un’alleanza dichiarata tra Pd e M5S difficilmente mettono in luce quale sia il contributo di uno e dell’altro partito».

Nel frattempo la destra sembra essere scomparsa dai radar. I leader dei partiti hanno disertato persino gli incontri di chiusura della campagna elettorale. Lei cosa pensa?
«La destra ricomparirà alle politiche e, al contrario di ciò che sembra, è ancora molto forte a Napoli. Ha senz’altro avuto uno sbandamento per le modalità con le quali sono stati scelti i candidati: Matteo Salvini e Giorgia Meloni le hanno fatte in profondo disaccordo e nel quadro di un’evidente frattura politica tra Lega e Fratelli d’Italia. Da questa spaccatura sono nate candidature debolissime, a Napoli ma anche a Roma e a Torino».

Però in Campania c’è un’anomalia: sia all’interno del Consiglio comunale uscente sia all’interno di quello regionale l’opposizione sembra inesistente…
«Non proprio. In realtà credo che il peso di quel che succede nei Consigli sull’opinione pubblica è sempre stato estremamente relativo perché le persone non seguono queste vicende, a eccezione di pochissimi. L’elettorato guarda al sindaco e al suo operato, poco all’opposizione e a quel che succede nei Consigli. Ciò che mi ha colpito dei Consigli regionali e comunali, in questi anni, è che, quando non è stato raggiunto il numero legale per le riunioni, era sempre perché in aula mancava la maggioranza: si assentavano quando non venivano accontentati nella spartizione dei posti in giunta».

Pare che i cittadini non si interessino neanche più al sindaco: l’affluenza alle urne a Napoli è stata bassissima. Come mai?
«L’astensione al voto è senz’altro un fallimento dei candidati, ma le radici sono più profonde. Da anni le regioni meridionali non esprimono istituzioni all’altezza dei loro compiti. Siamo in presenza, in particolare, di istituzioni in cui la lotta politico-democratica è fine a se stessa. Mi spiego: parliamo di istituzioni che inseguono l’interesse di pochi e non si impegnano per la cosa pubblica: in contesti simili è inevitabile che la disaffezione verso la politica aumenti. È il segno più evidente del fallimento complessivo degli enti locali meridionali. Oggi il voto oggi non è più un dovere o l’esercizio di un diritto collegato alla cittadinanza; al contrario, nel corso degli anni è diventato una manifestazione dell’interesse di pochi».

I liberali, invece, quali luoghi abitano? Sono scomparsi come la destra napoletana?
«I liberali sono sempre stati divisi: una parte è sempre stata a destra, l’altra sul versante riformista. Oggi la situazione è la stessa, li troviamo sia a destra sia a sinistra e perfino al centro. Il mondo liberale è sempre stato composto da una parte riformista e da una più conservatrice».

Professore, che opinione ha, invece, del sindaco uscente de Magistris?
«Pessima. Non ha fatto altro che utilizzare la demagogia. Non ha portato alcun risultato positivo. Anzi, ha costruito il suo elettorato scegliendosi soprattutto le aree meno rispettabili della città».

Dopo dieci anni di disastri, quindi, Napoli di cosa ha bisogno?
«Di un sindaco serio, capace di rimettere in piedi l’amministrazione, ma soprattutto in grado di dare una forma alla città e di tenere insieme tutte le diversità che da sempre compongono Napoli».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.