Diciamolo subito: a Napoli la campagna elettorale si è ben presto trasformata nel peggior spettacolo d’Italia. E qui scatta il primo paradosso: a offrire al pubblico questa pessima performance sono Catello Maresca e Gaetano Manfredi, cioè proprio i candidati sindaci indicati da più parti come le migliori espressioni della realtà partenopea. E altrettanto paradossale è il modo con cui tanto Maresca quanto Manfredi stanno contribuendo all’imbarbarimento del confronto in vista delle comunali del 3 e 4 ottobre.

Partiamo dal sostituto procuratore generale che ieri, ai giornalisti del Mattino, è tornato a presentarsi come «uomo d’ordine» in prima linea «per il rispetto delle regole». Eppure, dopo la bocciatura di quattro liste della sua coalizione da parte della commissione elettorale, Maresca non aveva esitato a scagliarsi contro quelle che riteneva «regole medievali» e «inutili formalismi». Parole pesanti, addirittura gravi. Un pm, infatti, non può dimenticare che, come ha opportunamente sottolineato Massimo Adinolfi, «le regole non sono un’appendice ornamentale». E – aggiungiamo noi – un pm non può separare la forma dalla sostanza visto che ogni norma, anche di carattere meramente procedurale, mira a tutelare beni o valori che per lo Stato meritano protezione. Nel caso della materia elettorale, poi, il valore da tutelare è addirittura la democrazia: non proprio qualcosa che un candidato sindaco possa prendersi il lusso di trascurare.

Sul fronte opposto, c’è un aspirante primo cittadino che, dopo aver declinato l’invito al dibattito con gli altri candidati organizzato dal Mattino, diserta anche quello promosso dall’Unione Industriali. Non serve ricordare quanto un simile atteggiamento di chiusura sia del tutto improprio per un ex rettore di una delle università pubbliche più antiche e prestigiose. L’accademia è da sempre il luogo della competizione tra le idee, della contaminazione delle culture e del dibattito come metodo di formazione e di sviluppo del pensiero.

Sottraendosi al faccia a faccia con gli altri candidati, Manfredi ha tradito la natura dell’istituzione che ha rappresentato addirittura da ministro preferendo assecondare due delle peggiori forme di degrado della politica: la prima è quella di un presidente di Regione, come Vincenzo De Luca, che preferisce i videomessaggi urbi et orbi alle conferenze stampa con un minimo di contraddittorio; l’altra è quella segnalata dall’Economist, secondo la quale certa sinistra tende spesso a mostrarsi illiberale più che riformista. Tutto ciò è frutto, da una parte, di un centrodestra troppo debole, privo di una leadership locale riconosciuta e della capacità di elaborare un progetto politico e culturale credibile, e, dall’altra, di un centrosinistra troppo sicuro di vincere, forte dei sondaggi che lo proiettano a un soffio dal trionfo al primo turno.

È un’anomalia tutta napoletana che rimanda a quell’azzeramento del confronto tra maggioranza e opposizione che caratterizza tanto il Consiglio comunale di Napoli quanto il “parlamentino” regionale. E che, di qui a qualche settimana, rischia di “regalare” alla capitale del Mezzogiorno un sindaco fatto a immagine e somiglianza di de Magistris, cioè pronto a contestare le regole secondo la propria convenienza, oppure di De Luca, ormai abituato ad agire più da satrapo che da governatore. In entrambi i casi, non proprio il meglio per Napoli. 

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.