Lo scontro e le polemiche: intervista all'ex senatore Compagna
Maresca e Manfredi candidati civici? “Macché, è solo opportunismo: sono i partiti a doversi vergognare per loro”
«I candidati sindaci si accusano reciprocamente di vergognarsi dei partiti? In realtà dovrebbero essere i partiti a vergognarsi dei candidati che hanno scelto». Luigi Compagna, già senatore e tra i più autorevoli esponenti del liberalismo italiano, non usa mezzi termini nel commentare la polemica che da giorni infiamma la campagna elettorale per le comunali. In principio era stato Gaetano Manfredi, candidato della coalizione di centrosinistra, a bacchettare il suo principale competitor, cioè quel Catello Maresca che ha recentemente incassato l’appoggio dei partiti di centrodestra al suo “progetto per Napoli”: «Anche io mi reputo un civico, ma i partiti li ho avuti con me dall’inizio e non me ne vergogno».
La risposta del sostituto procuratore generale, oggi in aspettativa elettorale, non si è fatta attendere: «Mai ho detto di vergognarmi dei partiti – ha replicato Maresca – Manfredi è ipocrita, spaccia per vere delle falsità e dice che vorrebbe fare il sindaco per ricostruire Napoli dimenticando che quelli che l’hanno imposto da Roma sono gli stessi che hanno ridotto la città nelle pietose condizioni attuali». Insomma, i toni dello scontro si alzano su un tema che a Napoli ha prodotto un paradosso: quello di sottoporre al vaglio degli elettori cinque candidati che, pur godendo dell’appoggio di determinate coalizioni o essendo reduci da più o meno lunghe esperienze partitiche, insistono nel definirsi civici, quasi a voler prendere le distanze da un contesto che ritengono irrimediabilmente marcio e compromesso.
Un atteggiamento che secondo Compagna, professore di Storia delle dottrine politiche oltre che parlamentare di lungo corso, cela profili di opportunismo: «I candidati si professano civici per pescare voti anche in altri schieramenti. In realtà, dal punto di vista politico sono il nulla assoluto. Ricordate Scelta Civica, il gruppo di Mario Monti? Insisteva su quel carattere civico, ma alla fine si dissolse in un batter d’occhio». Come è stato possibile che un partito, fondato nel 2013 dopo che Monti aveva governato per un anno e mezzo, sia scomparso solo sei anni più tardi? «Perché un’identità politica forte è indispensabile per discutere del futuro di una comunità in modo consapevole ed efficace», precisa Compagna che non usa parole tenere nei confronti tanto di Manfredi quanto di Maresca. Il primo «è un profilo molto dignitoso che ha cercato di far valere argomenti politici, cioè le pessime condizioni finanziarie del Comune di Napoli, ai quali ha poi rinunziato dopo aver avuto la certezza che il suo schieramento non rinunziasse a lui».
Il secondo è «un dipietrista del Nuovo Testamento che nega di aver un profilo politico per nascondere il fatto di essere il candidato di uno schieramento promotore di norme che impediscono a un magistrato di candidarsi». Sono queste contraddizioni che spingono Compagna a sostenere che «il profilo che le candidature hanno assunto nelle ultime settimane non sarebbe stato condiviso a destra da Alfredo Biondi e a sinistra da Emanuele Macaluso». Al netto del giudizio sui singoli, però, le parabole di Maresca e Manfredi che le coordinate politiche sono completamente stravolte rispetto a qualche tempo fa: «Il centrodestra non esiste più – continua Compagna – ma esiste un “destracentro” in cui Lega e Fratelli d’Italia si sfidano con argomentazioni fasciste. E in questo contesto lo spazio per moderati e liberali è sempre più risicato. Nel centrosinistra, invece, Enrico Letta interpreta il ruolo di segretario del Pd come se fosse alla guida del Psiup, quindi sempre e comunque a sinistra di chiunque, privilegia l’alleanza con il M5S. E la cosa più grave è che, in questo contesto, nessun candidato discute di politica, ma si limita ad alimentare polemiche come quella sui partiti o ad agitare formule vuote come quella del patto per Napoli».
Per Compagna la soluzione è obbligata: ripristinare il primato della politica, magari abolendo la legge che nel 1993 introdusse l’elezione diretta dei sindaci: «Le assemblee cittadine sono state marginalizzate, sicché oggi non si discute più della cosa pubblica – conclude l’ex esponente del Partito liberale italiano – Invece bisognerebbe valorizzare il ruolo dei Consigli comunali che sono la sede istituzionale in cui la politica, quella vera, si manifesta nelle sue espressioni più alte. Altro che civismo…»
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