Separati in culla. Due metà della stessa mela che si sono poi ritrovati, come Stanlio e Ollio, come Gianni e Pinotto. Coppia irresistibile, quella di Nicola e Piercamillo, Nic e Pier. Sanno sparare barzellette come fossero pallottole, ma più che uccidere vogliono colpire, cioè fare colpo sugli altri. In fondo vogliono solo piacere, anche se lo ottengono con l’uso della forza. Sono due uomini di potere, Nicola Morra da Genova trapiantato a Cosenza e Piercamillo Davigo proveniente dal pavese e poi ben inserito a Milano, giusto a pochi passi da casa.

Poi c’è la storia di Roma, dove Pier incontra Nic, dove a volte il duo si esibisce nelle stanze o sulle scale del Consiglio superiore della magistratura. Un luogo cui Pier si è tanto affezionato da non volerlo più lasciare, cosicché dalla panchina del suo pensionamento sbaglia la buca delle lettere e manda il ricorso al Tar del Lazio invece che al giudice ordinario. “Difetto di giurisdizione”, è la sentenza implacabile. Una sorta di nemesi storica, come se qualcuno si fosse ricordato di quando lui diceva: «Dire che i magistrati devono parlare solo con le loro sentenze equivale a dire che devono stare zitti».

Irrefrenabili, incontenibili. Come quando Nic è andato a Cosenza (perché lui si sente calabrese come sua moglie) a protestare al Centro vaccinale. Ed era così autorevole, più che autoritario, che il responsabile del dipartimento, il dottor Mario Marino, si è sentito male. E dopo ha detto che Nic era «entrato urlando per i disagi dei suoi parenti» anziani che non erano ancora, nel mese di marzo, riusciti a farsi vaccinare. E che poi, nella sua veste di Presidente della commissione antimafia, aveva telefonato a diverse autorità sanitarie dopo aver fatto identificare dalla sua scorta tutti i presenti.

La forza del leone. Quasi come Pier nell’indimenticabile racconto, era il 2016, quando spiega a un gruppo di 35 magistrati francesi ospiti del Csm la propria esperienza come uomo di Mani Pulite. C’è nostalgia, c’è orgoglio, nella sua narrazione. «Risposi che nel 1994 erano crollati cinque partiti, tra cui quello di maggioranza relativa e tre che avevano più di cent’anni. Però noi eravamo stati come i predatori che migliorano la specie predata: avevamo preso le zebre lente, ma le altre zebre erano diventate più veloci». Insomma, non esistono zebre innocenti, ma solo zebre colpevoli che sanno scappare più in fretta. E peggio per i cittadini che si fidano degli animali a strisce, quelli destinati alla divisa del carcerato. Così come quelli che in Calabria avevano addirittura scelto una persona malata come Presidente della Regione. Ci pensa Nic a dare una bella strigliata un po’ a tutti. Prima di tutto a quei calabresi che avevano votato un ex assessore, poi diventato presidente del consiglio regionale, cui il bravo procuratore “antimafia” aveva lestamente infilato le manette ai polsi. Che importa se poi il tribunale del riesame lo aveva scarcerato per l’inesistenza di alcun indizio sulla sua “mafiosità”?

Così, mentre dava una bella lezione ai calabresi che avevano promosso quell’ex assessore come il primo degli eletti a Catanzaro, aveva sentenziato: «È la dimostrazione che ogni popolo ha la classe politica che si merita». E chissà mai dove e come a da chi era stato votato lui. Scocciato, e orgoglioso di essere “politicamente scorretto” nell’aver sparato –parole come pallottole per colpire, cioè stupire- contro chi aveva persino eletto una “malata oncologica”. Finito lo spettacolino di Nic e Pier, rimane qualcosa di molto serio. Perché le dichiarazioni di Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, potrebbero inchiodare Piercamillo Davigo come diffusore di carte riservate, qualora gli avesse davvero mostrato, nelle scale del Csm, i verbali dell’ avvocato Piero Amara, cioè atti riservati e segreti.

Quell’incontro furtivo nel “sottoscala” sembra lo scontro tra due vanità. Perché se l’esibizione di scartoffie c’è stata, c’è anche il reato, e son guai per Davigo. Se è invece una millanteria di Morra e lui è corso anche a raccontare il fatto alla procura della repubblica, c’è una calunnia grande come una casa. E la fine di un rapporto e di un sodalizio politico, se è vero (ma lo dice solo il presidente dell’Antimafia) che Davigo era anche l’ispiratore della linea sulla giustizia del partito di maggioranza relativa in Parlamento.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.