La bufera che ha investito la Magistratura e i silenzi della politica. Il Riformista ne parla con Claudio Martelli, Ministro di Grazia e Giustizia dal febbraio del 1991 al febbraio 1993, vice presidente del Consiglio, esponente di primo piano del Partito socialista italiano, ed oggi direttore dell’Avanti.

Un nuovo tsunami si è abbattuto sulla magistratura: quello della “Loggia Ungheria”, che fa seguito al “caso Palamara”. Eppure la politica, salvo rare eccezioni, preferisce parlare d’altro. Perché questa reticenza?
Per viltà. Una volta si potevano accampare altri motivi. Per esempio, la solidarietà ideologica tra il Partito comunista italiano, di opposizione, e correnti della magistratura come Magistratura democratica ma anche Unicost, che pensavano di lottare per lo stesso scopo, e cioè contro l’egemonia della classe e contro la giustizia di classe. In qualche modo era un argomento almeno all’apparenza serio. È stata una lunga stagione in cui, ad esempio, il diritto del lavoro è stato interpretato a favore dei lavoratori piuttosto che degli imprenditori. Poi c’è stata una fase più tumultuosa, in cui la Magistratura si è eretta a baluardo dello Stato. È quella del contrasto al terrorismo. E in quella fase sicuramente matura un rapporto di maggior vicinanza. Anche qui: se non erano più ideali, erano quantomeno scopi e ragioni che devono essere difese. La difesa dello Stato contro chi lo voleva abbattere, come le Brigate rosse e altri gruppi, o chi lo voleva aggredire, come il terrorismo nero. Parecchi magistrati, e ancor più poliziotti e carabinieri hanno perso la vita in quel contrasto, ma l’hanno persa anche molti uomini politici. Sta di fatto, però, che in quella temperie, non tanto i giudici, un riferimento troppo generico che finisce per essere fuorviante, ma i pubblici ministeri, le Procure hanno acquisito un potere eccezionale perché ci sono state leggi eccezionali che le hanno dotati di particolari poteri.

Uno dei più pregnanti?
Il monopolio della forza legale. L’uso della forza dello Stato a fini di repressione, che già in sé è un potere molto invasivo. Tant’è che tutti i grandi teorici del liberalismo hanno sempre concepito la propria funzione, la funzione del diritto, a tutela delle libertà dei singoli contro i rischi di sopraffazione dello Stato. Tutto questo è stato invece smarrito dalla sinistra italiana. Che via via, per uno strano rovesciamento, è andata sempre più dimenticandosi delle proprie origini e si è erta a difensore dello Stato. Non più quindi dei cittadini e in particolare di quelli più deboli, più vulnerabili, più inermi, o dei cittadini in senso lato e delle loro libertà, ma dello Stato. Non avendo mai creato una propria teoria dello Stato, come ben ricordava Norberto Bobbio, nella lotta al terrorismo e alla mafia, quella sinistra ha concepito proprio un culto dello Stato e della forza della repressione statale. Si è inchinata. E questa è una novità. Una novità per lo meno nella sinistra che abita Paesi occidentali. E invece è assolutamente la regola delle sinistre comuniste che della religione del partito e dello Stato hanno fatto la loro fede. C’è un retaggio diverso, una eredità diversa della sinistra comunista rispetto alla sinistra liberale e anche a quella socialista libertaria. Di libertarismo i comunisti non hanno mai voluto sentir parlare. Il socialismo liberale lo hanno sempre disprezzato come una variante del socialfascismo socialdemocratico, e invece il culto dello Stato l’hanno sentito molto loro, identificandosi in toto. E questo può essere comprensibile quando c’è la minaccia del terrorismo o quella mafiosa, ma poi queste minacce si sono esaurite ma il culto dello Stato è rimasto. E i magistrati si sono visti la trincea avanzata in questa difesa dello Stato. E si è fatto corpo con essi. C’è poi l’altra parte, che è quella dell’interesse politico, dell’uso strumentale delle indagini. Attenzione: non dei processi e delle condanne, no, delle indagini. Già nella fase delle indagini si dimentica la presunzione d’innocenza, si dimentica l’obbligo di non violare il segreto istruttorio, si consente ampiamente la carcerazione preventiva, si applaude ai processi celebrati prima in piazza, adesso quelle telematiche. Adesso fa colpo quando c’è l’allineamento dei social media con le indagini della magistratura. Ma basterebbe ricordare Mani Pulite. Questa roba non l’hanno mica inventata i social media, era nelle corde della sinistra giustizialista, dei magistrati giustizialisti, della stampa giustizialista che hanno fatto per anni un cortocircuito di cui alcuni giornalisti si sono pentiti, e anche qualche magistrato lo ha fatto…

Chi, ad esempio?
Penso in particolare a Borrelli, l’infallibile capo della Procura di Milano, il quale nel ventennale di Mani Pulite ha riconosciuto, cito testualmente, «Dobbiamo chiedere scusa agli italiani. Non valeva la pena di buttare il mondo precedente per cadere in quello attuale». Tradotto in parole povere: non valeva la pena di distruggere la Prima Repubblica per cadere nella Seconda. Non è un’ammissione da poco. Cominciamo dalle colpe più gravi: 47 suicidi, frutti di un errore. Che non valeva la pena che si provocassero. Poi ci sono stati 30mila inquisiti, di cui due terzi in un modo o nell’altro sono stati assolti, e quindi “non valeva la pena” di processarli, inquisirli, incarcerarli, come è accaduto in molti casi. Ma tutto ciò che nel passato aveva comunque, anche in modo insopportabile, il carattere di una deviazione politica della magistratura, adesso è scomparso. Oggi non si tratta più di questo…

E di cosa si tratta?
Si tratta di una degenerazione. Morale innanzitutto. I responsabili sono diversi, ma c’è un luogo in cui si compiono i misfatti: l’Associazione nazionale magistrati. È questo che è diventato intollerabile. È inutile pigliarsela con il Consiglio superiore della magistratura. Il Csm è diventato una specie di protesi che vista le decisioni che vengono prese dall’Anm. Per la semplice ragione che questa associazione, privata, un po’ sindacato, un po’ partito, o coacervo di correnti vagamente partitiche, è arbitra dell’elezione del Csm. Attraverso i suoi eletti, che sono la maggioranza, cioè i membri togati, determina, è padrona delle carriere dei singoli magistrati. Se non si affronta il “cancro” della magistratura, copyright Cantone non mio, e denunciato da magistrati di valore e più responsabili come Nordio, solo per fare un nome, le metastasi finiranno per distruggere l’intero “corpo” della giustizia e con esso lo Stato di diritto. Alcune di queste cose le aveva già dette Falcone, uno dei primi che ha sperimentato sulla sua pelle quanto bruci l’uso strumentale e infamante dell’arma giudiziaria, brandita contro di lui da collegi, e non penso solo ai “corvi” palermitani. La politicizzazione, poi il degrado, e un vero e proprio marcio che si è annidato nell’Associazione nazionale magistrati. Il reclutamento “politico” dei magistrati comincia già tra gli uditori giudiziari, che vengono invitati subito a schierarsi con questa o quella corrente. Vengono affiliati, reclutati, spinti perché gli si spiega che è il solo modo di campare. Ci sono quelli che hanno un pensiero forte e si ribellano e si rifiutano, purtroppo però la maggioranza continua a iscriversi all’Anm, anche se il discredito in cui è caduta è impressionante.

Qualcuno potrebbe obiettare: perché non avete reagito?
Non è così. Almeno per quanto mi riguarda. Io contestai che appartenesse in esclusiva il monopolio al Csm, e cioè dietro alle quinte all’Anm, la decisione di chi nominare a capo di questo o quell’ufficio. Feci ricorso alla Corte costituzionale che mi diede in parte ragione, e riaffermò il criterio che sta nelle leggi, che prevede il concerto tra il Ministro e il Csm. Devono essere d’accordo entrambi. E così quando il Csm al posto di Falcone indicò Cordova io mi opposi. Tanto feci che dovettero arrendersi. Indissi un nuovo concorso dopo la morte di Falcone. Dopo di me non ho visto nessun ministro della Giustizia impugnare qualcuna delle nomine fatte in modo solitario dal Csm. Una sorta di silenzio-assenso. L’Anm ha trasformato un organo costituzionale, il Csm, arbitro delle carriere, delle promozioni, dei trasferimenti, delle azioni disciplinari, in una sua propaggine obbediente. È questa la questione che va affrontata. Sento già l’accusa: vuoi sciogliere l’Anm, come fece il fascismo. Ma il fascismo lo fece per sottomettere la Magistratura ai propri poteri. Il mio intento è di liberarla dall’essere emanazione dell’Anm. Bisogna agire di conseguenza. Ho detto del metodo di elezione, tanto per toglierli quel potere lì.

La magistratura, le sue istituzioni, sono come il socialismo reale: irriformabili?
No, perché viviamo in una società liberal democratica e dunque esistono forze che si oppongono. Anche nel Pd ci sono stati e ci sono persone, penso al giurista Pellegrino, con posizioni simili alle nostre. Il tuo direttore, partendo da posizioni di comunista è arrivato a un garantismo senza paura. Non quelli che si sono avvicendati a Via Arenula, come Orlando, che quando era ministro della Giustizia, ribattezzai l’ “Orlando pauroso”. Non credo che sia più tempo, semmai lo è stato, di palliativi, di correggere questo o quello. Il cancro è uno stato molto avanzato. E gli ultimi scandali ne sono una riprova. Occorre operare alla radice per estirpare questo cancro. E la radice è l’Associazione nazionale magistrati. Siamo arrivati al punto di degradazione che quando c’è da fare una nomina si usa l’arma di aprire una indagine sul candidato sgradito per metterlo fuori gioco. È confessato, è dichiarato, è avvenuto. La Procura di Perugia che deve indagare sulle responsabilità di magistrati di Roma , è piena di carte. Il caso Palamara non è importante perché abbia introdotto qualche novità rispetto a un sistema che era già stato ampiamente denunciato da Cossiga, da me, da tanti giuristi, avvocati, camere penali, giornali e giornalisti, quelli che hanno conservato un po’ di coraggio. È importante per un’altra ragione: perché adesso c’è il corpo del reato. Ci sono le prove. Le evidenze testimoniali e le prove per atti di questo marciume.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.