Parla il presidente dell’Unione camere penali italiane
“Crisi della magistratura, inutile dare la colpa ai singoli”, intervista a Gian Domenico Caiazza
L’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, è ancora cauto nel fare una analisi del nuovo scandalo che ha travolto il Csm ma su una cosa è chiaro: «se continueremo a ridurre il problema alle condotte di singole individui, come fa l’Anm, non usciremo mai dalla crisi di sistema che ha travolto l’ordinamento giudiziario».
Presidente che idea si è fatto di questo nuovo scandalo?
Al momento è difficile farsi un’idea precisa di questa vicenda così oscura. In linea generale sono molto diffidente di queste narrazioni un po’ romanzesche che raccontano di pseudo logge e che tendono a semplificare i fatti.
L’onorevole Zanettin sul “Foglio” ha detto che la vicenda fa «emergere la totale discrezionalità delle procure nella gestione dei fascicoli». È d’accordo?
È un tema delicato sul quale da tempo l’Ucpi chiede di intervenire. Attribuire alle Procure un autonomo potere definitorio delle priorità investigative è un meccanismo molto pericoloso, che fa del feticcio dell’obbligatorietà dell’azione penale una legittimazione d’arbitrio delle scelte.
Gian Carlo Caselli sul “Fatto Quotidiano” ha scritto in difesa “dell’icona Davigo”. Che ne pensa?
Al dottor Caselli piacciono le icone, come quelle della magistratura o dell’antimafia. A noi invece no, per cui crediamo che i comportamenti umani e professionali si giudichino per quelli che sono e non in base a chi li pone in essere. Quindi non si può impedire, solo perché ritenuto una icona, di porre domande e chiedere chiarezza al dottor Davigo, considerato che ci sono forti dubbi sull’ortodossia del suo comportamento: come uomo pubblico e come ex magistrato dovrà rendere conto di quanto accaduto.
Sul fronte delle soluzioni c’è chi chiede una commissione d’inchiesta parlamentare sull’operato della magistratura. Sarebbe favorevole?
Prima di ragionare di commissioni d’inchiesta, dovremmo puntare ad una riforma strutturale dell’ordinamento giudiziario. Dobbiamo – una volta e per tutte – capire che tutti questi fenomeni che stanno emergendo sulla vita della magistratura sono i segni di una crisi profondissima del sistema e di una patologia evidente delle dinamiche di potere interne alla magistratura stessa. Uno dei tre poteri dello Stato, ossia quello giudiziario, diversamente da quello legislativo e da quello esecutivo, non risponde a nessuno dei propri atti. Di conseguenza si tratta di un potere straordinariamente più forte degli altri due: crea uno squilibrio tra gli assetti democratici, stimola e attira gli appetiti di molti perché è un potere ingestibile e insindacabile, controlla e determina la vita degli altri due poteri, oltre che di tutti i cittadini.
Concretamente cosa fare?
Per riequilibrare i tre poteri occorrono una serie di interventi, nessuno dei quali è presente nella legge delega Bonafede. Innanzitutto ricondurre il Csm nell’alveo costituzionale, ossia ad organo di alta amministrazione della giurisdizione che si occupa, tra l’altro, di promozioni, trasferimenti e sanzioni disciplinari. Non è previsto che sia quello che è diventato e cioè una terza Camera, un organo politico che detta legge sulla normazione sia dell’ordinamento giudiziario che dei temi di politica giudiziaria in generale. Poi è necessario riscrivere lo statuto della carriera del magistrato, anche in questo caso ripristinando il dettato costituzionale che parla esplicitamente di “promozioni” dei magistrati che meritano. Ciò comporta la responsabilità professionale degli atti che si compiono: se un magistrato ha una statistica di misure cautelari invalidate dal Riesame, di inchieste finite nel nulla, di numerose sentenze annullate ciò deve ricadere sullo sviluppo della sua carriera. In ultimo la riforma cruciale della separazione delle carriere. Se non affrontiamo questi tre punti non risolveremo mai la crisi di potere del sistema giudiziario.
Il presidente dell’Anm Santalucia a “La Stampa” ha detto: «potrà esserci qualche singolo magistrato corrotto [ma] la magistratura nel suo complesso è sana». Concorda con questa analisi?
Si tratta di una risposta inadeguata rispetto a quello a cui stiamo assistendo. È chiaro che il corpo della magistratura sia costituito da persone perbene ma sostenere che tutto quello che sta succedendo sia legato a devianze individuali di alcuni specifici magistrati è estremamente riduttivo. Bisogna chiedersi come mai si siano scatenate certe dinamiche interne alla gestione di un potere diventato anomalo. Se non prendiamo consapevolezza di questo e continuiamo a dirci che si tratta di condotte riconducibili a Tizio o Caio non faremo nessun passo avanti verso l’uscita dalla crisi.
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