Wstawać.

A Matteo Salvini nessuno ha mai rivolto quell’urlo agghiacciante e stridulo: Wstawać. Che vuol dire: Alzati! Primo Levi racconta di come quello fosse il suono più terribile nella giornata di un internato. Risuonava all’improvviso, all’alba, gridato da una guardia nazista. Voleva dire che il sonno era finito. Finito. Cioè erano finite quelle pochissime ore di serenità nell’inferno del campo di Monowitz, ad Auschwitz. Cominciava la giornata, la tortura, la disperazione, il dolore infinito. Forse era vicina la morte. Di fatica, o per una fucilata, o nella camera a gas. Primo Levi racconta anche di un sogno ricorrente nel campo di sterminio. Sognava di tornare a casa, placido, a Torino, e di raccontare agli amici le torture subite, e di accorgersi che nessuno gli credeva, che tutti sorridevano. Ed era una frustrazione pazzesca. Lui piangeva nel sonno: «è vero, è vero», gridava. Poi Levi fu tra i pochissimi che si salvarono davvero dal lager e dopo un viaggio infinito tornò a Torino e scrisse un libro che resta il libro più bello della letteratura europea del novecento (Se questo è un uomo). E il sogno si avverò. Portò il manoscritto all’Einaudi, la casa editrice di sinistra, laica, progressista, e lì il suo libro lo lessero due dei maggiori intellettuali italiani, Natalia Ginzburg e Cesare Pavese. Poi chiamarono Levi, gentili, e gli dissero di no: «Amico, non ci interessa, è troppo caricato, non è credibile il tuo racconto». A Levi si gelò il sangue. «È vero, è vero», gridava sottovoce, a quei due che non potevano capire niente. Niente. La Einaudi cambiò idea solo 11 anni dopo, nel 1948. Pare che fu Calvino a riscoprire quel capolavoro. Se questo è un uomo, scritto nel 1946, inizia proprio con questa poesia, rude, asperrima. Ne trascrivo qualche verso:

Ora abbiamo ritrovato la casa
Abbiamo finito di raccontare
Presto udremo ancora
Il comando straniero:
Wstawać.

Già, a Matteo Salvini nessuno ha mai gridato nelle orecchie quella parola tedesca. Forse per questo non può capire. Come non capì Natalia Ginzburg. E quando sente che Liliana Segre ha ricevuto delle minacce non trova indecoroso paragonarsi a lei e osservare, ironico: «anch’io ho ricevuto minacce». Liliana Segre è stata ad Auschwitz. Nel campo vicino a quello dove era Primo Levi. Lei era ragazzina. Levi era adulto. Lei è sopravvissuta ed è arrivata viva fino a noi. Levi è sopravvissuto, ha raccontato nei suoi libri cos’era il nazismo, ma poi non ce l’ha fatta. Quarant’anni dopo la fine del lager, una mattina, è uscito di casa, ha scavalcato la ringhiera e si è gettato giù dalla tromba delle scale. È morto sul colpo a settant’anni. Il ricordo per lui era troppo opprimente. Sentiva sempre nelle orecchie l’ordine della guardia: Wstawać, Wstawać. E il sorriso di quelli che ascoltavano i suoi racconti senza dargli retta. Lo sterminio è un crimine contro l’umanità che non ha eguali. Ha riguardato principalmente gli ebrei, che hanno lasciato nei campi sei milioni di loro fratelli. E i rom, che ne hanno lasciati 500 mila. Salvini non vuole capire questo. E non è il solo.

L’antisemitismo esiste ancora in Europa, e in Italia, è diffuso ed è orrendo. L’antisemitismo è una forma particolare di razzismo, è la radice di tutti i razzismi, è il più feroce, il più odioso, il più radicato il più malefico e contagioso. Dire a Liliana Segre “minacciano anche me” è una forma orrenda di razzismo politico. Io non credo che Salvini sia un razzista e un fascista. Anche se ogni tanto ti scappa di dirlo. Semplicemente non è affatto attento a tenere lontano da sé il sospetto di essere razzista. Prendere in giro Liliana Segre a lui può sembrare solo una spavalderia politica, invece risulta di fatto uno sdoganamento dell’antisemitismo.  Mi ricordo un episodio di tanti anni fa nella scuola di preti gesuiti che frequentavo alle medie. Un mio compagno di scuola era ebreo. Si chiamava Cesare. Un ragazzino più grande, del ginnasio, un giorno a ricreazione gli gridò sporco ebreo, così, tanto per gridare una cretineria. Lui reagì e prese a pugni il compagno di scuola e gli fece male. I preti punirono il ragazzino che aveva insultato Cesare, e assolsero Cesare. Ecco, loro nel 1962 avevano capito cos’era l’antisemitismo, e lo insegnarono anche a noi. Ora bisogna che qualcuno lo insegni a Salvini. (senza dargli un pugno…). E non solo a lui. A tante altre persone: di sinistra, di destra.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.