Lunedì 23 ottobre è festa nazionale dell’Ungheria. Si festeggia la nascita della Repubblica nel 1989, pochi giorni dopo la caduta del regime comunista e nell’anniversario della rivoluzione che portò alla invasione sovietica nel 1956. Il primo ministro Victor Orbán parla a Veszprém, vicino al lago Balaton, e le parole che pronuncia sono di fuoco verso l’UE, che viene incredibilmente paragonata all’Unione Sovietica, anche se la prima, a differenza della seconda, “fortunatamente è riparabile”: “Mosca era una tragedia, Bruxelles è solo una brutta parodia contemporanea. Abbiamo dovuto ballare mentre Mosca fischiava. Oggi, anche se Bruxelles fischia, noi balliamo come vogliamo, e se non vogliamo, non balliamo”. Qualche giorno prima, a Pechino, lo stesso Orbán era stato il primo leader “sedicente occidentale” di un grande paese UE a stringere la mano a Putin dopo l’invasione russa in Ucraina, in occasione del forum voluto dal presidente Xi Jinping per celebrare il decimo anniversario della assai discussa Via della Seta.

Più isolato in Europa dopo la batosta elettorale presa da Morawiecki, il suo alleato polacco, solo parzialmente consolato dalla nomina di Robert Fico come premier slovacco, a capo di un paese però di pochi milioni di abitanti e molto poco influente in UE, Orbán cerca sponde sulla scena internazionale e per farlo si distingue ancora più da Bruxelles: incontra Putin, contratta con lui cospicue forniture di gas per il prossimo inverno, attacca pesantemente l’UE, si fa desiderare per l’ok all’adesione della Svezia alla Nato su cui persino la Turchia di Erdogan ha già dato il suo parere favorevole (ma non ancora col voto del parlamento), si fa criticare pubblicamente dall’ambasciatore statunitense a Budapest (“inquietanti decisioni”, le ha definite su X-Twitter), fa sponda con la Cina e incassa i complimenti di Donald Trump, che qualche giorno fa lo ha elogiato confondendolo per sbaglio con un altro leader illiberale, il turco Erdogan. Fa le bizze, insomma, anche perché l’UE non gli sta pagando una tranche di 13 miliardi di euro a causa della mancata attuazione di riforme che allineerebbero l’Ungheria agli standard di stato di diritto dell’UE. Rimane quindi grande il disappunto che regna a Bruxelles, dove in molti guardano col terrore sul calendario l’arrivo di luglio 2024, quando toccherà proprio all’Ungheria il semestre di presidenza dell’UE. E non è detto che alcuni leader – ad iniziare da quelli dei paesi baltici – non esprimano le loro preoccupazioni direttamente a Orbán già alla riunione dei leader dell’UE di oggi e domani.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva