Un weekend di voti, code ai seggi e segnali mandati all’Europa. Dalle urne della Polonia, sia dai primi exit poll di domenica sera sia nella giornata di lunedì piano piano che lo spoglio è andato avanti, è emerso un forte desiderio di cambiamento manifestato dalla popolazione polacca. Il partito della destra sovranista Giustizia e Libertà (PiS), espressione dell’ex premier Jarosław Kaczyński e dell’attuale primo ministro Mateusz Morawiecki, è risultato primo per numero di seggi ma non è in grado di governare, né da solo né con la destra nazionalista di Confederazione. Di fatto è una vittoria monca, se non proprio una sconfitta. A sorridere è stato Donald Tusk, leader di Piattaforma Civica.

Il sessantasettenne politico popolare europeo (già premier del Paese, oltre che presidente del Consiglio europeo) ha costruito una valida alleanza con liberali, progressisti di centro-sinistra e verdi proprio per sconfiggere il PiS. La Coalizione Civica è stata la seconda forza più votata e dovrebbe avere l’appoggio di Terza Via e Sinistra, arrivando quindi a una maggioranza con i numeri per governare. Ago della bilancia si è rivelata soprattutto la coalizione di centro, quella Terza Via da Polska 2050 e aderente a Renew Europe a Bruxelles, che ha superato la soglia di sbarramento per le coalizioni (8%), conquistando tra il 13 e il 14% e portando con sé una dote cospicua di seggi, circa 60. Il presidente Andrzej Duda dovrà ora decidere a chi affidare il primo incarico in un quadro che assomiglia molto a quello uscito in Spagna solo poche settimane fa dopo le consultazioni. Tuttavia Varsavia – stando agli scenari probabili per arrivare a una maggioranza dei 460 seggi in palio – sembra pronta a lasciarsi alle spalle l’attuale governo sovranista di Morawiecki, che non di rado si è scontrato con l’Unione Europea sullo stato di diritto, per ritornare a un esecutivo più allineato con Bruxelles.

Per Tusk, in queste elezioni a vincere sono state la Polonia e la democrazia. L’affluenza da record, quasi il 73%, la più alta dal 1989, lo ha confermato. Ma per il Paese europeo definito spesso come una democrazia illiberale, è giunto anche il giudizio degli osservatori internazionali che hanno assistito alle consultazioni: “Le elezioni sono state competitive ma un uso improprio delle risorse pubbliche e la copertura distorta e apertamente schierata da parte dell’emittente pubblica ha fornito un chiaro vantaggio al partito di potere”. Quindi elezioni libere, anche se non del tutto eque. Al netto delle analisi immediate successive al voto, però, la Polonia avrà bisogno di tempo per cambiare rotta e le difficoltà che si troverà davanti non saranno poche. Intanto per via delle tempistiche, visto che verosimilmente prima di dicembre non sarà insediato il nuovo governo. Ma soprattutto il possibile esecutivo guidato da Tusk dovrà affrontare nei primi mesi un altro giro di consultazioni importanti, come quelle europee, oltre che alcune tornate locali.

Passaggi che si prevedono non banali: la coalizione di governo dovrebbe avere all’interno forze politiche appartenenti a diverse tradizioni in Europa, dai popolari ai socialdemocratici, dai verdi ai liberali, quindi la campagna elettorale potrebbe minare la solidità del governo stesso. Inoltre il nuovo esecutivo con ogni probabilità dovrà affrontare l’opposizione del PiS, un partito ferito per l’insuccesso elettorale ma pronto a dare battaglia sia in un Paese diviso a metà sia in campo europeo, terreno di lotta ideale per una forza sovranista e populista.

Nel breve-medio periodo quindi l’eventuale nuovo governo dovrebbe avere una posizione più conciliante con l’Ue, una maggiore attenzione verso i diritti civili, le libertà personali e l’autonomia del sistema giudiziario, ma sarà comunque costretto a lavorare a vista. Quel che è certo è che a cambiare non saranno le storiche posture mantenute negli ultimi tempi, a partire dall’avversione alla Russia e l’appoggio all’Ucraina. Un approccio utile per tutta l’Europa di cui la Polonia è oggi parte rilevante, nel bene e nel male.