Antonio Padellaro, il giornalista che tutti conosciamo, per anni al Corriere della Sera e poi fondatore del Fatto Quotidiano, è la persona giusta per parlare di questo strano interludio tra il partito di Giorgia Meloni e Enrico Berlinguer, il capo dei comunisti italiani, ovviamente intransigentissimo antifascista e avversario del Msi. Quell’applauso è un fatto politico? Probabilmente no, non più di tanto. «È emerso il ricordo del passato, è stato un omaggio a Berlinguer che era stato interlocutore di Giorgio Almirante». Ora ne parliamo, dei ricordi. Intanto c’è sempre questa discussione su fascismo e antifascismo attorno al 25 aprile che è stata molto intensa, con tutte le polemiche sulla Rai e il caso Scurati ed era forse l’occasione per dire qualcosa da parte di Giorgia Meloni, dalla quale però non è arrivato nulla.

Dice Padellaro: «Ormai questo insistere a chiederle di dirsi antifascista è diventato manieristico, anzi, più Repubblica e il Pd insistono e peggio è. Sarebbe molto più utile incalzarla sui comportamenti e gli atti politici reali che sulle abiure». Ma perché non ci sente da quell’orecchio? «Il fatto è che i missini si maceravano dentro questo sconfittismo. La “cultura” di Colle Oppio è segnata da questo senso di minorità che derivava dall’essere stati sconfitti. È esattamente questo complesso che non gli consente di dirsi antifascisti». Tuttavia ci sono altri ex missini che non hanno problemi a definirsi antifascisti, lei no. «Sì, questo succede perché Giorgia Meloni in un certo senso è più autentica di altri e non riesce a superare quel passato di sconfitta, vive ancora in quel clima, non riesce a superarlo».

Resta questo enigma sulla vera o presunta fascinazione per Berlinguer. Forse il partito della presidente del Consiglio vuole comunicare che quelli di una volta erano persone serie, non come questi di adesso, dirigenti che si combattevano ma si parlavano, anche se segretamente, proprio come in guerra. E poi l’immagine del segretario del Pci è praticamente intoccabile, per tante ragioni. Un’icona, quasi. Padellaro lo sa bene, avendo scritto qualche anno fa un libro (“Il gesto di Almirante e Berlinguer”) che era un ottimo scoop: «Loro due si vedevano tutti i venerdì pomeriggio a Montecitorio quando ormai non c’era più nessun deputato. Fu alla fine degli anni Settanta, dopo l’omicidio di Aldo Moro, anni tremendi, entrambi avevano formazioni estremiste ai fianchi, Berlinguer alla sua sinistra e Almirante alla sua destra, forze organizzate che erano vicine alla lotta armata, e probabilmente volevano scambiarsi informazioni».

Fu il segretario comunista a cercare quello del Msi o viceversa? «Mah, non lo sapremo mai. Ma tendo a credere che fu Berlinguer a prendere l’iniziativa». Eppure tutto rimase riservatissimo e ignoto per decenni. L’unico presente ancora tra noi a quegli incontri, ma restando evidentemente ai margini, è Massimo Magliaro che all’epoca lavorava col capo del Msi e oggi troneggia nei talk, che ha detto che del merito di quelle conversazioni non sa niente: quelli erano “capi” che non parlavano nemmeno con le mogli di certe cose. E non era tempo di legittimazioni reciproche. Si faceva a botte nelle scuole, nelle università, nelle piazze. I comunisti in un certo senso pensavano di continuare la Resistenza: allora per conquistare la democrazia, negli anni Settanta per difenderla.

Il Msi invece era il partito dei vinti, dei reietti, degli esclusi. Meloni reca dentro di sé le ferite psicologiche di quel clima, chiusa nelle stanzette delle sezioni “nere”, e verosimilmente ha una conoscenza bozzettistica della storia della sinistra italiana. Dopodiché tanti anni dopo – è diventata addirittura presidente del Consiglio – un giorno va ad una mostra su Berlinguer e ne rimane colpita (come Elly Schlein che ne ha messo lo sguardo profondo sulla tessera del Pd proprio dopo aver visitato la stessa mostra, ma questa è un’altra storia), e a Pescara Ignazio La Russa omaggia il segretario del Pci e la platea si spella le mani. Contemporaneamente però i Fratelli d’Italia sparano ogni giorno sui “comunisti” che secondo Gennaro Sangiuliano, uno che pure conosce Togliatti e Giorgio Amendola, volevano instaurare una dittatura. È contraddittorio. Oppure è un’operazione di facciata, questa specie di appropriazione di Berlinguer?

Ci dice Padellaro: «No, sarebbe impossibile. Anche perché Berlinguer diceva delle cose terribili sui missini, in una tribuna politica gli disse “senza le SS siete sempre scappati”… Semmai l’operazione possono farla con Gramsci, vedo che Sangiuliano vuole fare una mostra: magari “prendendo” qualcosa di un filosofo che è fuori dalla battaglia politica”. È probabile che a Pescara abbiano applaudito Berlinguer (a parte l’omaggio al padre di Bianca che era lì) perché era stato in qualche modo “sdoganato” da Almirante che «andò a Botteghe Oscure a rendere l’ultimo saluto al segretario del Pci definito “un uomo onesto”, e fu accolto da Pajetta». Già, noi quel giorno eravamo presenti, come tanta gente, davanti alla storica sede del Pci… «Immagino che Almirante ebbe un certo coraggio a andare a Botteghe Oscure», dice Padellaro. Certo, anche se in quel momento non c’era tantissima gente, poi arrivò Pajetta, il tutto durò cinque minuti. Non ricordiamo fischi né altro. Certo quello del capo del Msi fu un gesto prettamente umano. Politicamente non cambiò nulla. In quel tempo accadde che sempre Pajetta e Pino Romualdi pranzassero insieme al Parlamento europeo e Romualdi fece per pagare il conto. Al che Pajetta lo fermò: «I conti con voi li abbiamo fatti il 25 aprile». Già, fascisti e comunisti sono rimasti come gli indiani e i cowboy anche oltre quella mattina del giugno 1984. Anche oggi, malgrado l’applauso di Pescara, quel muro non cade.