L’America di Trump vota contro l’Ucraina e l’Europa all’Onu ed è subito scandalo. Lo stracciarsi di vesti per una mossa poco diplomatica può essere comprensibile. Attenzione però a non farsi prendere dall’emozione e così scordarsi quante volte si è detto che le Nazioni Unite avrebbero bisogno di una grande riforma. A ottobre prossimo, l’Onu compirà ottant’anni tondi tondi. Da allora quante volte sono state le occasioni in cui il Palazzo di Vetro ha risolto crisi diplomatiche ed evitato guerre? Quante volte il Consiglio di sicurezza si è incagliato nei veti incrociati dei suoi membri permanenti che rappresentano ancora un ordine tra le nazioni uscito dalla seconda guerra mondiale? C’è chi potrebbe obiettare che scardinare il sistema è un’opzione troppo sofisticata per il cowboy che ha messo in piedi sulla scrivania dello Studio ovale. In realtà, è proprio strumentale a questo obiettivo la mossa degli Usa di adottare una posizione conciliante con la Russia in sede Onu. A Washington sanno che una qualsiasi risoluzione contraria al Cremlino inciamperebbe proprio nel veto del rappresentante diplomatico di Putin. E allora perché mai spendersi per un conflitto che, secondo Trump, non può portare nulla di vantaggioso all’economia americana, e non invece intestarsene la pace? Quella sì utile per l’industria Usa.

Perché finanziamo l’Onu?

Perché finanziamo? Viene da parafrasare un vecchio documentario di propaganda, “Perché combattiamo”, trasmesso nei cinema americani tra il 1942 e il 1945. Con quella pellicola, diretta da Frank Capra, il governo federale intendeva spiegare il motivo per cui fosse necessario mandare i propri ragazzi a morire in Europa e nell’Oceano pacifico. Mentre allora in ballo erano i valori della libertà e della democrazia, oggi in discussione c’è la tenuta del Tesoro Usa. Di fronte a un debito pubblico che sfiora i 37 trilioni di dollari, Donald Trump – armato del buon senso che contraddistingue ogni bravo cittadino americano – si domanda perché finanziare strutture internazionali anacronistiche, poco trasparenti e inconcludenti. Ma soprattutto care.

Con quasi 800 milioni di dollari versati nel 2024, gli Usa sono stati il principale finanziatore mondiale delle Nazioni Unite. A questi si aggiungono poco più di 1,7 miliardi di dollari per le operazioni di peacekeeping. Washington appare poi tra i primi donors nei bilanci di Unicef (1,5 milioni), Fao (85 milioni), World Food Program (Wfp, 110 milioni) e dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr, 2,5 miliardi). Così come il progetto Doge – quello in mano a Elon Musk – ha l’obiettivo di far rientrare la spesa pubblica di 1 miliardo in quattro anni, altrettanto dev’essere fatto sul piano internazionale. Soprattutto perché il ritorno di queste spese è nullo.

Perché Trump ha detto basta

Perché li finanziamo? Donald Trump si immagina che un qualsiasi suo elettore, che per ragioni di inflazione è costretto a mettere mano ai propri risparmi, bussi alla Casa Bianca a battergli cassa. Ecco quindi che la funzione Usa del poliziotto del mondo, o dell’impero benevolo – a seconda della prospettiva ideologica – cede. La nuova amministrazione americana antepone il benessere delle proprie famiglie in casa al dominio del mondo. E così si è cominciati a uscire dagli Accordi di Parigi e dall’Oms. In scia con quanto già successo nel 2018, quando gli Usa abbandonarono l’Unesco, e adesso con lo stop ai finanziamenti all’agenzia per i profughi palestinesi (Unrwa). Ma questa è una scelta presa già da Biden un anno fa. Sarebbe opportuno ricordarselo.

Per l’America è arrivato il momento di tagliare. Visto che alla domanda “Perché finanziamo?” nessuno è stato in grado di dare una risposta esaustiva, Trump ha deciso di suo pugno. Chi glielo vieta? La morale? Ma è stata proprio l’assenza di una morale ad aver impedito che ogni singola agenzia internazionale potesse acquisire nei decenni una capacità di influenza politica concreta. Nessuno degli organi Onu ha saputo porsi su un piedistallo di autorevolezza oggettiva in fatto di diritto internazionale, economia mondiale e pace. E questa è una debolezza confermata anche oggi. Qual è stata la risposta della comunità internazionale – ma anche, nel nostro piccolo, dell’Europa e della Nato – a tutti gli sgarbi e alle scorrettezze che Donald Trump ha saputo mettere in fila dal 20 gennaio a oggi?

Gli spettacoli raccapriccianti ospitati dall’Onu

L’auspicio quindi è che tutto questo serva. Una volta che è stata scossa, denigrata e perfino privata dei finanziamenti, viene da chiedersi se la comunità internazionale non si senta costretta a correre ai ripari. Non fosse altro per dignità. E quindi rivedere quella serie di pratiche e protocolli, giunti ormai alla canna del gas, e che con una semplice spallata Trump ha infranto. L’importante però non è concentrarsi solo su Kyiv. Nonostante l’urgenza della crisi. Sarebbe scorretto dire che la guerra in Ucraina sia arrivata a questo livello di violenza e assurda re-interpretazione dei fatti, senza venir alimentata da precedenti storici.

Quante volte le sedi internazionali Onu di New York e Ginevra hanno ospitato spettacoli altrettanto raccapriccianti di violenza contro la libertà, la democrazia e i diritti umani? Gesta perpetrate da governi davvero canaglia, contro i quali la comunità internazionale ha mai mosso un dito. Se non a cose fatte. Russia, Iran, Sudan… e prima ancora Ruanda, Cambogia… Che sia Trump a deciderlo può piacere o meno. In ogni caso, con questo spettacolo, è l’ora di finirla.