Quando un giorno sapremo come andò a finire questa guerra – e sempre che non sia finita in modo da non farcelo sapere mai – capiremo quanto peso hanno tutti i giocatori di questa terribile partita. Ieri il presidente Vladimir Putin e quello cinese Xi Jinping rispetto alla questione Ucraina hanno assunto un tono che sembrava dire “ne abbiamo già parlato, siamo già d’accordo”.

La Cina ha presentato un piano ragionevole, la Russia ha certificato questa ragionevolezza ed è pronta a farne la base per una trattativa e tutto questo come se non fosse per nulla chiaro ciò che dovrebbe venire sottoposto all’attenzione dell’avversario, anzi del nemico invaso. Il nemico invaso come sappiamo ha già detto – e come punto di partenza non potrebbe essere diversamente – di non essere disposto ad alcuna concessione territoriale agli invasori russi perché qualsiasi concessione territoriale consisterebbe in una vittoria dell’usurpazione e della illegalità che è appunto quanto non deve succedere. Xi Jinping si è fatto promotore fin dall’inizio del suo terzo mandato di una nuova visione del mondo fondata sul multipolarismo in cui tutti sono uguali ma, come accade nella Fattoria degli Animali di George Orwell, alcuni sono molto più uguali degli altri. In apparenza i due leader stanno concordando una partnership di integrazione economica in cui la guerra in Ucraina appare come elemento accessorio per poter nutrire il grande progetto multipolare sì, ma guidato dal Celeste Impero cinese.

La Russia, benché abbia avuto un inatteso surplus di vendite petrolifere sa che la principale ragione di questo guadagno sta nel fatto che l’India ha approfittato della situazione per acquistare quantità enormi di greggio trasformato in carburante vendibile in tutto il mondo, Europa compresa. E tuttavia è un gigantesco paese che non ha uguali sul pianeta terra, con una popolazione di appena 144 milioni di abitanti molto diversi fra loro da tenere insieme, etnie diversissime, da tenere unite contando quasi esclusivamente sull’estrazione di energia dalla terra. La Cina al contrario si presenta come un leader mondiale in cerca di amici con cui formare uno schieramento indipendente ed avverso a quello americano senza per questo prefigurare una guerra mondiale ma in cui può giocare il ruolo che merita grazie al suo enorme balzo tecnologico in avanti. La Cina è ben lieta di dare una prova di amicizia alla Russia perché considera Vladimir Putin non tanto un suo alleato quanto un suo protetto. Ma questa protezione ha dei limiti che non possono arrivare a contenere tutte le richieste russe di vedersi riconoscere cioè in un trattato di pace o anche al semplice cessate il fuoco un’accettazione a priori delle conquiste ottenute in Ucraina con la forza delle armi.

L’incontro fra i due leader è stato marchiato da aggettivi tutt’altro che soavi e amicali in un comunicato ufficiale in cui si legge che “lo scambio di vedute tra i due leader è stato franco e sincero”. Chiunque abbia familiarità con il linguaggio diplomatico sa che l’aggettivo “franco” indica uno scontro al termine del quale ciascuno è rimasto sulle sue posizioni. E per quanto se ne sa la posizione inconciliabile è quella sulla legittimazione di una operazione militare in campo altrui. Tutto fa pensare che il presidente cinese avrebbe gradito da parte russa una dichiarazione o un impegno che diventasse la precondizione per un effettivo inizio di un processo di pace in Ucraina, che Putin facesse in qualche modo ammenda della sua invasione affinché ciò che lui ha fatto in Ucraina non possa essere considerato un precedente di legittimazione utile agli americani per ribadire la loro presenza militare a Taiwan. Poiché sul punto la discussione è stata franca c’è da immaginare che Putin non abbia voluto concedere un tale preambolo.

Xi Jinping, d’altra parte, non si è mai presentato dicendo “io sono il mediatore fra due controparti che mi chiedono di fare la spola dall’uno all’altro per trovare una soluzione”. Il presidente cinese ritiene di essere di fatto il leader di tutto il mondo che non cade sotto l’influenza americana, dall’Africa a buona parte dell’America Latina e dell’Asia e di cui la Russia è soltanto un elemento benché importante, gradito e utile per i futuri assetti commerciali in cui la Cina potrebbe dare alla Russia una parte dei suoi straordinari giocattoli elettronici e rifornirsi in parte delle sue risorse energetiche. Ma i termini della crisi erano già evidenti quando Vladimir Putin e Xi Jinping si incontrarono a Samarcanda dopo l’inizio dell’invasione perché era stato colto di sorpresa dall’iniziativa del russo, e gli disse, “io non amo le sorprese”. Dall’altra parte sono in uno stato di diversa attenzione gli Stati Uniti, l’Ucraina e quei paesi europei come la Polonia ma anche la Francia e la Finlandia che non intendono affatto concedere carta bianca al presidente russo e che quindi puntano alla sua caduta.

Gli americani, nel frattempo, sono in una fase di stallo: da una parte Joe Biden ribadisce che il punto di principio secondo cui nessuno Stato sovrano può invadere uno Stato sovrano limitrofo come sempre accaduto in Europa, è un principio intangibile per il quale sono morti milioni e milioni di soldati e civili durante la Seconda guerra mondiale. Il processo di Norimberga, che fu allora fortemente voluto dai russi con le sue spietate impiccagioni finali, serviva per mettere un punto fermo alla fine di un’epoca in cui uomini e armi in uniforme potevano andare a combattere in casa altrui contro altri uomini in altre uniformi. Però Biden non ha nessuna intenzione di arrivare alla terza guerra mondiale e lo ripete continuamente anche se con scarsa efficacia politicamente Trump ha buon gioco ad incalzarlo dicendo che al suo posto avrebbe impedito questa guerra dando a Putin tutte le soddisfazioni che merita, restando quindi sulla sua dura linea secondo la quale l’Europa degli europei è come Sodoma e Gomorra e merita soltanto di essere cancellata dalle fiamme del giudizio universale.

C’è una larga parte di America che non ne vuole sapere più di Europa e anzi inclina apertamente per Putin cui riconosce alcuni tratti di durezza a loro familiare: tutto ciò che non è tradizionale a cominciare dalla famiglia è reato e un grande paese ha bisogno prima di tutto di legge, ordine e punizioni esemplari: questa è la posizione di una larga parte della destra americana mentre ce n’è una residua che concorderebbe con i democratici sempre pronti alla guerra dai tempi di Roosevelt, e poi di Kennedy con la crisi di Cuba e il Vietnam alla fine risolto dal repubblicano Nixon e così via fino a Clinton che bombardò Belgrado, offesa che la Russia sia sovietica che confederata non ha mai perdonato. Fino a questo punto il presidente ucraino Zelensky non ha elementi visibili su cui discutere un piano cinese di pace perché quel piano cinese di pace sembra già tramontato visto che la Russia non intende concedere alla Cina nemmeno alcune posizioni di principio.

E così per quanto ne sappiamo la guerra continua in un modo dilaniante e perverso perché ora alcuni paesi come la Polonia e la Slovacchia ma anche altri entreranno nella partita, forniranno non solo tank ma anche aerei sovietici modificati agli ucraini allungando l’agonia di una terra imbevuta di sangue e dedita ormai al sacrificio umano sia degli invasori che degli invasi. Naturalmente non è detto che sia finita perché prima o poi una pace dovrà comunque arrivare ma per quanto stato possibile capire ieri non si è ancora profilato l’inizio dell’inizio ma soltanto la fine di un progetto che si potrebbe definire di totale sottomissione alla Cina alla quale i russi non si sentono di concedere per ora nulla.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.