Festività solenne e mai tanto importante come oggi, il 25 aprile. La Liberazione da ricordare e – con la memoria – da difendere. Si guarda al Colle più alto. Il Presidente della Repubblica già ieri ha concesso un’anteprima di quel che dirà oggi: “Non dimentichiamo chi ha lottato per quegli ideali di indipendenza e di libertà che permisero la Liberazione dell’Italia dall’oppressione nazi-fascista”, ha detto Sergio Mattarella ricevendo i rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’arma al Quirinale.

Il terreno dei valori e dei principi fondativi della repubblica dovrebbe essere pacifico, implicito. E invece no: il primo 25 aprile del governo più a destra di sempre offre il fianco a scivoloni, imbarazzi e mal di pancia che non lasciano spazio a quella nuova destra matura e responsabile di cui la premier ha parlato nel suo discorso di insediamento. Tanto da far dire al professor Giovanni Orsina che “Il 25 aprile non sarà mai un giorno di concordia”. I messaggi che arrivano dalla politica lo dimostrano. Il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha mandato su tutte le furie l’Anpi, che ne chiede le dimissioni, anzi: la destituzione per incapacità manifesta. “Non si capisce perché dice le cose che dice”, dichiara Carlo Calenda. “Se non ha capito qual è il ruolo istituzionale e alto della seconda carica dello Stato, allora forse deve lasciare davvero”.

Ai dirigenti di Fratelli d’Italia che sembrano allergici alle piazze che celebrano la Liberazione hanno provato a parlare gli stessi esponenti dei partiti alleati, a partire da Forza Italia fino alla Lega. Matteo Salvini ha riportato la coalizione sul piano del confronto civile: “Sarebbe ora che alcune date importanti come il 25 aprile e il primo maggio unissero e non fossero motivo di polemica, divisione. Farò un 25 aprile in famiglia, di memoria, di festa e di lavoro, perché anche domani avrò degli incontri nei territori”, ha fatto sapere il Ministro delle Infrastrutture e trasporti e leader leghista. “Berlusconi ha chiuso il capitolo per tutti. Ha parlato da statista e da leader del centrodestra. Meloni, che peraltro di Berlusconi nel 2009 era ministra, è stata chiara su questo punto”. Così il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, in una intervista a La Stampa, facendo riferimento al discorso che Berlusconi pronunciò il 25 aprile del 2009 a Onna.

Ha fatto rumore la bordata di Gianfranco Fini, tornato da qualche giorno sulla scena. Dallo studio di Lucia Annunziata è stato lo stesso fondatore di Alleanza Nazionale a rivolgersi alla premier: “Non capisco la sua ritrosia nel pronunciare la parola antifascismo”, il fendente alla cadetta che ha scalato il vertice della destra rimettendo insieme chi dalla svolta di Fiuggi si era allontanato. Il monito di Giorgia Meloni ai suoi è quello di non prestare il fianco alle polemiche. Il governo ha disposto l’affissione di cartelli e manifesti in tutti i Comuni, per celebrare il 25 aprile, usando toni forse un po’ troppo neutri: “La libertà è come l’aria”, lo slogan adottato suscita qualche perplessità per l’assenza di termini esatti: Liberazione, fascismo, Resistenza, antifascismo. Quelle stesse parole che Giorgia Meloni sembra faticare a pronunciare. Vedremo se nell’agenda di oggi troverà occasione per rimediare. Il Ministro degli esteri, Tajani, andrà a onorare la memoria dei martiri delle Fosse Ardeatine. La premier andrà all’Altare della Patria insieme al Presidente della Repubblica che poi nel pomeriggio si recherà a Cuneo, Borgo San Dalmazzo e Boves, simboli della lotta partigiana e della Liberazione.

Con il Presidente della Repubblica ci saranno quelli della Camera e del Senato. Quest’ultimo – “osservato speciale”, volente o nolente – volerà subito dopo a Praga dove renderà omaggio nel giro di poche ore a un campo di concentramento nazista e al monumento a Jan Palach, che per protesta contro l’invasione dei carri armati russi si diede fuoco in piazza. Come a tenere fede a una precisa scelta ideologica: un colpo al cerchio e uno alla botte, andando anche oltre confine. E a proposito di scenari internazionali, ieri si è completata l’operazione di rientro in patria degli italiani bloccati nel Sudan dove è scoppiata la guerra civile. Anche su questo, il Quirinale ha fatto sentire la sua voce, dimostrando “Apprezzamento per l’operazione efficiente, brillante e rapida che è stata compiuta in Sudan per i nostri concittadini”.

Dopo essere stati prelevati da due C-130, 150 italiani ed alcuni cittadini europei sono stati portati a Gibuti e da lì all’aeroporto di Ciampino, dove sono atterrati ieri sera. “Non lasciamo indietro nessuno”, ha detto Giorgia Meloni complimentandosi con il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Principio che non sembra trovare attuazione quando a voler fuggire da quelle zone colpite da guerra, fame e siccità sono cittadini africani. Di relazioni diplomatiche e internazionali sarà chiamato ad occuparsi, dalle prossime settimane, l’ex ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. La sua nomina come inviato speciale Ue per il Golfo sarà sul tavolo degli ambasciatori Ue nella riunione del Comitato politico e di sicurezza (Cops) del 27 aprile. Gli Stati membri daranno una sorta di bollinatura alla scelta operata dall’Alto rappresentante Borrell, tanto che la nomina rientra tra i punti senza discussione. Si tratta di un passaggio procedurale, più una presa d’atto.

Quindi non ci sarà né un voto, né l’Italia si opporrà alla nomina. Tajani scrolla le spalle. Il suo collega di partito, Maurizio Gasparri, sfodera invece l’ascia di guerra. “Sullo scandalo Di Maio chiederò un voto del Parlamento. Pubblicamente sconfessato dal governo del suo Paese, che con garbo ma con chiarezza ha detto che non è il candidato dell’esecutivo italiano, Luigi Di Maio, dopo una vita da seminatore di odio e poi da poltronaro voltagabbana, rinunci ad un incarico per il quale è palesemente inadeguato”. Anche Salvini non le manda a dire: “Con tutti i diplomatici di carriera che hanno fatto tanto in Italia e in Europa mandare a mediare il signor Di Maio Luigi è curioso”. Ma l’Europa è soprattutto Pnrr, e Salvini dovrebbe tenerlo a mente. Solo 11 dei 27 obiettivi da completare entro il 30 giugno sono stati raggiunti, con il rischio forte che su asili nido e trasporti molti dei fondi erogati possano saltare.

Dal Pd, mentre gli occhi di Elly Schlein sono puntati sui passi falsi del governo per le manifestazioni di oggi, l’attenzione è rivolta a Nordio. “Gli annunci di Nordio non finiscono mai, nemmeno dopo la figuraccia internazionale del caso Uss. Ancora una volta vengono lanciate a casaccio separazione delle carriere, abolizione di reati, intercettazioni da rivedere, senza che, dopo mesi di proclami, ci sia uno straccio di testo. Ma soprattutto non c’è nulla di quello di cui ci sarebbe davvero bisogno e cioè attuare le riforme Cartabia che riguardano per l’appunto l’efficienza della giustizia e la ragionevole durata dei processi: il ministro doveva approvarne i decreti attuativi, nemmeno quello ha fatto”, ha dichiarato in una nota Debora Serracchiani, deputata e responsabile Giustizia del Pd e i capigruppo in commissione Giustizia di Camera e Senato Federico Gianassi e Alfredo Bazoli.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.