Le app oscurate dalle 17.30 in tutto il mondo
Perché WhatsApp, Facebook e Instagram non funzionano: ecco cosa sta succedendo
Sono giorni travagliati per la galassia di Mark Zuckerberg e per il mondo intero che ha fatto di Facebook, Whatsapp e Instagram le app più usate al mondo. L’apice il 4 ottobre: dalle 17.30 non funzionano nessuna delle tre in nessun modo, down totale in tutto il mondo. La giornalista del New York Times, Sheera Frenkel ha riferito che i dipendenti di Facebook non sono nemmeno in grado di accedere al proprio edificio a causa della mancanza del badge di ingresso.
“Ero al telefono con uno dei dipendenti di Facebook che ha detto che non sono stati in grado di entrare negli edifici questa mattina per iniziare a valutare l’entità dell’interruzione perché i loro badge non funzionavano per accedere alle porte”. Una situazione dunque molto complessa. “Siamo consapevoli che alcune persone stanno avendo problemi ad accedere alla app di Facebook. Stiamo lavorando per far tornare le cose alla normalità al più presto e ci scusiamo per qualsiasi inconveniente”. È quanto scrive Facebook su Twitter, dato che la piattaforma social non funziona in gran parte del mondo. Un tweet simile è stato pubblicato per WhatsApp, bloccato a sua volta, come lo è anche Instagram.
Non sono giorni facili per la galassia Zuckerberg. Prima le rivelazioni di una ‘talpa’ che ha accusato il colosso di essere pericoloso e di fare poco per fermare la diffusione di messaggi d’odio e disinformazione sulla sua piattaforma. Poi il tonfo in borsa, con le azioni che hanno ceduto oltre il 4% a Wall Street. Infine, il blocco non solo del social, ma anche di Whatsapp e Instagram, dovuto a un down mondiale.
Ma, appunto, l’inizio di questa giornata catastrofica sono state le dichiarazioni della data analyst Frances Haugen, 37 anni, durante l’intervista che ne ha rivelato l’identità ieri, a ’60 minuti’ sulla ‘Cbs’: “Non credo che siano intenzionati a investire davvero su quello che serve per evitare che Facebook sia pericoloso”. Sono parole dure e che spingono la compagnia di Mark Zuckerberg al centro di una nuova bufera. La donna, ex manager, ha presentato almeno otto denunce anonime alle forze dell’ordine federali contro la compagnia e dovrà testimoniare in settimana davanti al Congresso. Il motivo della denuncia, secondo Haugen, è sintetizzabile come: tra il bene pubblico e gli interessi della compagnia, “Facebook ha mostrato, ancora e ancora, di scegliere il proprio profitto”.
Haugen, che ha lavorato per Google e Pinterest prima di unirsi al social di Zuckerberg nel 2019, ha affermato di aver chiesto di lavorare in un’area dell’azienda contro la disinformazione, dopo la perdita di un amico a causa di teorie complottiste presenti sul web. Tuttavia, secondo l’ex manager, Facebook avrebbe disattivato prematuramente le misure di sicurezza contro la diffusione delle fake news, dopo la vittoria di Joe Biden alle elezioni, contribuendo all’assalto del Campidoglio Usa il 6 gennaio. Inoltre, la piattaforma avrebbe sciolto l’unità di ‘integrità civica’ dove lavorava Haugen. Sarebbe stato proprio questo il momento in cui la donna avrebbe deciso di presentare una serie di istanze, con l’augurio dell’arrivo di nuove regolazioni governative contro il social network.
Secondo Haugen, la piattaforma era anche consapevole del suo contributo nell’alimentare odio e disinformazione, tramite una ricerca fatta dalla stessa compagnia. Per questo è scattata la denuncia: Facebook non avrebbe fornito ulteriori informazioni sui rischi della sua piattaforma, come rivelato nell’intervista a ’60 minuti’. Un approccio similare era già stato considerato nell’inchiesta uscita a settembre sul Wall Street Journal, che aveva sottolineato come gli algoritmi ‘cattura attenzione’ di Facebook avevano contribuito ad alimentare il dissenso politico e problemi emotivi e di salute, soprattutto tra i giovani.
Secondo Haugen sarebbe stato il 2018 a segnare uno spartiacque sul piano della ‘divisività’: alimentando le dispute, gli utenti accedevano più spesso, favorendo così il gigante dei social media che riusciva a vendere più pubblicità digitale. Le rendite annuali di Facebook sono così raddoppiate nel 2018, passando da 56 miliardi di dollari (circa 48 miliardi di euro) a una cifra che oggi secondo le previsioni arriva a 119 miliardi di dollari (circa 102 miliardi di euro). “Nessuno di Facebook è cattivo”, ha detto Haugen, “ma gli incentivi sono disallineati, giusto? Facebook guadagna di più quando si consumano più contenuti e alle persone piace essere coinvolte con ciò che suscita una reazione emotiva. A più rabbia vengono esposti, più interagiscono e più consumano”.
All’inizio si è pensato che si fosse trattato di un sabotaggio. Fari puntati sulle rivelazioni fatte da un ex dipendente, la computer scientist Frances Haugen, che ha denunciato in una seguitissima trasmissione televisiva della CBS una serie di scelte riprovevoli della società. Ma forse non è andata così. In ogni caso stamattina l’accusatrice di Facebook verrà ascoltata dal Congresso di Washington che l’ha convocata per un hearing.
Secondo la ricostruzione fatta dal Corriere della Sera l’ipotesi di un attacco hacker, però, è stata accantonata quasi subito: i tecnici hanno spiegato che incursioni di questo tipo prendono di mira punti specifici del sistema, non la sua intera architettura mentre, col sito di Facebook paralizzato, due tecnici della sicurezza si sono scambiati messaggi su Reddit (poi prontamente cancellati, cosa che attribuisce loro un valore ancora maggiore) nei quali parlano di un problema di rete causato da un errore nella configurazione di una componente essenziale del sistema, il BGP (Border Gateway Protocol).
Dunque potrebbe essersi trattato di un banale incidente, figlio di problemi logistici e organizzativi, che però ha provocato catastrofiche conseguenze. Il timore di sabotaggi ormai spinge tutte le aziende tecnologiche a darsi procedure di sistema segrete, affidate a pochissime persone molto fidate e preparate. E poi il Covid che ha portato quasi tutti i tecnici a lavorare in remoto da casa. Quando è stato chiaro che il problema andava risolto alla vecchia maniera, manualmente, chi era in grado di farlo era fisicamente lontano mentre chi era già in azienda non aveva le competenze necessarie. Anche per questo ci sono volute quasi 7 ore prima di poter ricominciare ad attivare, in modo molto graduale, le piattaforme del gruppo.
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