L'eccellenza della sanità in Campania
Perde 4 dita sul lavoro ma al Pellegrini gliele reimpiantano, il miracolo di Carmine: “Grazie ai medici posso accarezzare ancora le mie figlie”
Mentre stava lavorando, una pesante taglierina gli aveva mozzato quattro dita della mano. Carmine Carucci, 36 anni, originario di Battipaglia, rischiava di perdere per sempre l’uso della mano sinistra ma all’Ospedale Pellegrini di Napoli i medici hanno compiuto il miracolo: gli hanno reimpiantato le dita e qualche giorno dopo l’intervento di 13 ore consecutive si muovevano nuovamente. “Grazie al loro impegno adesso posso ancora accarezzare le mie figlie”, ha detto Carmine che ancora non ci può credere a quel miracolo di cui è testimone.
Carmine è un operaio, ha una compagna e due figlie piccole. Ricorda ancora con lucidità quei drammatici momenti e la corsa verso l’ospedale per cercare di salvargli la mano. “Dopo l’incidente ero disperato, credevo di aver perso tutto – racconta – I medici non hanno mollato per un istante e adesso tocca a me tenere duro e rendere onore al loro lavoro”.
L’Ospedale Pellegrini di Napoli è una vera e propria eccellenza nel campo della chirurgia della mano, per questo motivo Carmine è subito stato trasportato lì da Battipaglia. “Quando Carmine è arrivato qui dovevamo fare tutto il possibile per salvarlo in virtù della sua giovane età – spiega Angela Penza, Primario del reparto di Chirurgia della mano dell’Ospedale Pellegrini – Nonostante le dita non fossero state conservate bene (bisogna conservare gli arti amputati in una busta di plastica e poi nel ghiaccio, non direttamente a contatto con il ghiaccio), le abbiamo riscaldate e reimpiantate. Non era un intervento semplice e non era scontato che funzionasse, ma l’entusiasmo, la costanza e la determinazione dei chirurghi hanno portato al successo”.
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Per 13 incessanti ore i chirurghi hanno insistito, provato e riprovato finchè non ce l’hanno fatta. “Abbiamo ricostruito i vasi che sono microscopici, un lavoro minuzioso fatto interamente al microscopio – ha detto Armando Fonzone Caccese, il capo dell’equipe dei chirurghi che hanno operato Carmine – Poi le dita erano quattro, non uno solo. Abbiamo provato varie tecniche e alla fine ce l’abbiamo fatta”. Al pellegrini ha vinto il lavoro di squadra. “Quando ho rivisto la mano è stata un’emozione fortissima – racconta Carmine – non avrei mai immaginato di continuare ad averla e addirittura riuscire a muovere le dita”.
“Non è semplice stare al tavolo operatorio per 13 ore consecutive – continua la dottoressa Penza – questa è una disciplina praticata soprattutto dai giovani che hanno una maggiore resistenza fisica, buona vista e grande abilità nell’uso delle mani. La nostra forza è proprio quella di avere nel nostro team giovani ed entusiasti chirurghi che riescono anche nelle operazioni più minuziose con la guida dei chirurghi più esperti. Questa grande unione garantisce la buona riuscita anche degli interventi più complicati. È importante una grandissima preparazione alle spalle. Vengono sfruttate tutte le professionalità, dall’anestesia alla rianimazione, dal chirurgo alla successiva assistenza al paziente, medici e infermieri., fino alla riabilitazione specialistica. Tutte professionalità presenti nel nostro reparto e che si sono formate in oltre 20 anni di eccellenza ”.
Per la dottoressa fondamentale è anche l’entusiasmo che i medici mettono nel proprio lavoro. Proprio come quello del dottor Fonzone Caccese e della dottoressa Alessandra Soldati, 37 anni (è la più giovane del reparto), con una grande passione che si è trasformata nell’impegno nel fare al meglio il suo lavoro. “È stato un intervento eroico, tecnicamente davvero molto complicato e lungo – ha detto con gli occhi che brillano ancora – È molto emozionante riuscire a restituire una vita ai nostri pazienti”.
La dottoressa Penza ci tiene a ringraziare tutto lo staff: “Ringrazio i chirurghi, agli anestesisti e tutti quelli che hanno collaborato con noi. Un grazie speciale anche alla Direzione Generale e alla Direzione di Presidio che ci supportano in questo tipo di lavoro che è unico in regione Campania. Un reimpianto come questo non si può improvvisare, c’è bisogno di uno studio ventennale alle spalle, una esercitazione continua con il microscopio, con gli animali, in laboratorio anche all’estero, per rendere migliore la vita dei nostri pazienti”.
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