Sono “gemelle” le due sentenze depositate ieri con cui la Corte costituzionale ha affrontato il tema del riconoscimento dei minori nati all’estero da coppie lesbiche tramite fecondazione eterologa (32/2021) o da coppie omosessuali tramite maternità surrogata (33/2021). Si tratta, in entrambi i casi, di pratiche vietate nel nostro ordinamento: la fecondazione eterologa perché riservata solo alle coppie eterosessuali; la maternità surrogata perché, ancor prima, “offende in modo intollerabile la dignità della donna, mina nel profondo le relazioni umane” (272/2017) ed espone al “rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate” (33/2021). Insomma, per i giudici costituzionali vale l’imperativo kantiano per cui bisogna trattare l’umanità sempre come fine e mai come mezzo.

Vi sono però Stati che consentono tali pratiche anche alle coppie omosessuali, ora in modo regolamentato (Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Ungheria, Bulgaria, Ucraina, Grecia; Stati Uniti, Canada), ora no (Paesi Bassi, Irlanda, Repubblica Ceca). Da qui la distinzione tra genitore biologico (la donna che partorisce grazie alla fecondazione eterologa; l’uomo che fornisce il proprio seme in caso di maternità surrogata) e genitore intenzionale (il/la partner di costoro). Ciò pone due problemi: 1) se vadano puniti i genitori che ricorrono a tali pratiche illegittime grazie al cosiddetto turismo procreativo (in senso negativo v. da ultimo la sentenza della Cassazione penale n. 5198/2021); 2) quale debba essere lo status giuridico dei figli avuti ricorrendo ad esse.

Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo gli Stati devono dare rilievo giuridico al rapporto tra il minore nato e i genitori, potendo piuttosto scegliere se considerarlo figlio del solo genitore biologico o anche di quello intenzionale (v. sentenze 26.6.2014 Mennesson c. Francia e Labassée c. Francia; Grande Camera 12.12.2019 C. e E. c. Francia). La prima è per l’appunto la soluzione vigente nel nostro ordinamento in cui, dopo accese polemiche in occasione della approvazione della legge sulle unioni civili, il genitore “intenzionale” non può essere trascritto come genitore del minore, al pari di quello naturale, ma può, al massimo, ricorrere all’adozione in casi particolari (c.d. adozione non legittimante o stepchild adoption). Ed è proprio questo il punto su cui la Corte costituzionale, discostandosi dall’orientamento della Cassazione, ha espresso severe censure.

Per i giudici, infatti, tale soluzione «costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali» perché non attribuisce all’adottante genitorialità. Essa, infatti, non offre piena tutela all’interesse del minore a «ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che nella realtà fattuale già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia» che hanno voluto la sua nascita e si sono presi quotidianamente cura di lui. E ciò indipendentemente che si tratti di coppie etero o omosessuali, poiché l’orientamento sessuale non incide di per sé sull’idoneità ad assumere ed esercitare la responsabilità genitoriale.

Inoltre, nel solo caso di coppie omosessuali, l’adozione è subordinata all’assenso del genitore “biologico” che potrebbe mancare in caso di successiva rottura del rapporto, come nella fattispecie oggetto della sentenza n. 32/2021, in cui la madre intenzionale a causa dell’opposizione di quella biologica non poteva avere più rapporti con la minore, pur avendo condiviso il ricorso alla fecondazione eterologa all’estero. Infine non è chiaro se crei legami tra il minore e i parenti del genitore “intenzionale”, dai quali quindi egli non potrebbe ereditare.

Per tutti questi motivi in entrambe le sentenze i giudici rivolgono un forte monito al legislatore affinché individui urgentemente forme più idonee di tutela degli interessi del minore «attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino» e assicuri ad essi piena tutela, con particolare riferimento alla cura, all’educazione, all’istruzione e alla stabilità dei rapporti effettivi con entrambi i genitori che avevano condiviso il progetto di genitorialità. Saprà il legislatore accogliere tale monito? Ne dubitiamo.

Sono ormai sempre più frequenti le ordinanze di cosiddetta incostituzionalità prospettata con cui la Corte costituzionale, in spirito di leale collaborazione con il Parlamento, sospende il proprio giudizio in attesa che il legislatore disciplini la materia entro il termine assegnato. Si pensi ad esempio alle ordinanze sul suicidio assistito, sulla previsione di pene detentive per la diffamazione a mezzo stampa e ora sulla fecondazione eterologa praticata dalle due donne all’estero, riguardo al quale la Corte afferma chiaramente che non sarà «più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore, riscontrato in questa pronuncia».

In altri casi, come quello del cognome della madre ai figli e, ora, del riconoscimento giuridico dei minori nati da maternità surrogata, la Corte, di fronte al ventaglio delle opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione, avverte giustamente il dovere di arrestarsi e cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore perché contemperi i diversi diritti e principi in gioco. Un compito – spiace dirlo – cui finora il legislatore non ha dato seguito. Ennesimo segnale della debolezza e incapacità della politica di farsi carico e dare risposta a questioni che incidono, in modo talora drammatico, sulla vita delle persone e sui loro nuovi diritti fondamentali.