Riconfermato il no alle messe in presenza dei fedeli, ma il governo concede il permesso di celebrare i funerali con un massimo di 15 persone. È quanto si apprende dall’ultimo decreto del presidente del Consiglio. I vescovi italiani, però, non ci stanno e subito arriva la risposta della Conferenza episcopale italiana (Cei): “Non possiamo accettare di vedere compromessa la libertà di culto – spiegano i prelati – Perché mai, con le dovute precauzioni, si potrà andare in un museo e non in chiesa?”. Per la prima volta la Cei si è espressa con parole dure in un comunicato che trasuda insofferenza e tensione e che nasce dall’esigenza di “mettere un punto fermo”.

I vertici della Cei hanno anche sottolineato la “rigorosità con la quale hanno seguito ogni direttiva del governo, nonostante la pressione di fedeli e parroci, ma dal 4 maggio – si legge nello scritto – con senso di responsabilità si deve iniziare una ripresa graduale della vita comunitaria”. Una presa di posizione netta e inequivocabile ma che divide. “Inutile il tono piccato adesso – spiega don Gennaro Matino, parroco e teologo che voci di corridoio vogliono in pole position per succedere al cardinale Sepe alla guida dell’arcidiocesi di Napoli – I vescovi si sono mossi in ritardo. Dovevamo sapere cosa volesse dire la chiusura delle chiese e dovevano comunicarci in tempo le direttive per la liturgia al tempo dell’epidemia e invece non abbiamo avuto indicazioni precise”.

L’opera pastorale della Chiesa non si è mai fermata, soprattutto a Napoli, dove i parroci si sono inventati qualsiasi strategia per raggiungere i fedeli. Niente di simile a una messa tradizionale, certo, e forse proprio questo clima di sofferenza ha spinto la Cei a intervenire in maniera drastica. “Ma se riaprire le chiese vuol dire mettere a rischio la comunità, io dico no – aggiunge Matino – Esercitare pressioni sul governo per una riapertura a ogni costo è una follia”. Per don Gennaro non c’è alcun accanimento verso i cristiani e non c’entra l’ideologia: “La chiesa non è una pizzeria, non ha senso insistere – conclude – L’economia ha ragioni che noi uomini di fede non abbiamo.

Trattiamo altri argomenti che non hanno niente a che vedere con gli indotti economici. Libertà di culto sì e guai a chi la tocca, ma libertà di vita prima di ogni cosa”. La libertà pare stia passando in secondo piano in questi mesi. “Parlo da cittadino prima che da prete – dice don Gennaro Pagano, direttore della Fondazione Regina Pacis – Non mi spaventa la minaccia alla libertà di culto quanto quella alla nostra libertà in generale”. I nostri giorni sono scanditi da una serie di regole e decreti che ci vedono attoniti e impotenti. “Capisco l’esigenza di intervenire tempestivamente all’inizio – conclude don Gennaro- ma ora le decisioni dovrebbero essere discusse in Parlamento, è inammissibile la comunicazione di regole senza confronto”. Secondo Pagano l’atteggiamento delle istituzioni sta creando un precedente pericoloso: “La nostra libertà è continuamente limitata, ma quanta libertà siamo disposti a cedere?”