Non è un cambio di simboli, ma di identità. Lo spadone, il Carroccio, Pontida, la coppa di acqua del Po, la scimmiottatura di Asterix, più Obelix (l’amico gigantesco del gallo che mangia granita di cinghiale), le bardature con lenzuola verdi, Roma Ladrona. Tutta quella roba lì era un grande armamentario scenografico che voleva dire: secessione, via il Nord dal Sud, via gli italiani che producono da quelli che li derubano, andiamo piuttosto con i tedeschi, con le minoranze etniche delle montagne, e vai con la polenta e i knoedoli, tutti sulla ferrata e poi a ‘mbriagarsi di sgnappa e di vin, un po’ brilli, priapici (il “ce-l-ho-lunghismo”). Quel residuo di «Ma mi, ma mi» di Strehler col commissario di polizia meridionale che se la fa coi nazi «el me diséva sto brut terùn: si tu parlasse io firmo ccà, il tuo condono, la libertà».

E la vergine Pivetti? Che l’era devota alla madonna e costituiva l’ala mariana ma con lo spadùn per signorine, tutta un’altra musica anche in torpedone, a cantare i nostri canti, ad amare le nostre montagne, a far le fabbriche nella nostra pianura e le partite Iva dei nostri tempi, e le congiure separatiste fora da quei terùn di merda che màgneno sempre i maccaroni co le polpette, e non è che siamo razzisti anzi mio nonno era di Catanzaro e la mamma di Canicattì eppure siamo tutti belli nordici. E poi Miglio. Ve lo ricordate il filosofo della Lega? Che signùr! Sciur! Che bella testa, che finezza, che arguzia, che dibattiti in tivvì anche col Massimo Cacciari che era contro ma era anche a favore e capiva e spiegava e se le davano che era un gran piacere. Quella Lega. Cazzo, compagni. Eddài, mica vuoi mettere co’ ‘sta roba del Salvini che l’è tutta piena di romànni co’ la pastasciutta in bocca e la salvietta al collo, ma anche ‘sti napoli del sud. Quello passato, sì, era un mondo. L’Umberto era un mondo. Lo vidi in Senato il giorno prima del coccolone in jeans e grinta e brindammo. Il giorno dopo, la botta. Mesi di coma. L’Umberto ce la fa, l’Umberto non ce la fa. E il Maroni? Era al sax.

Molti di loro erano passati dai comunisti, l’Umberto aveva cominciato a studiare medicina. Poi aveva mollato tutto. Era rimasta quella voglia di Resistenza in montagna, di brigate Garibaldi e faceva quei comizioni antifascisti che se li sarebbe voluti mangiare vivi, ‘a te ricord?
Oggi, ‘sto Salvini qui butta tutto in mare, tutto in vacca e fa la Lega di se stesso, nazionalista sovranista e via il Carroccio, e vaffanculo Alberto da Giussano, e vaffanculo Pontida, ma che belìn è? Che minchia ci rappresenta? Ma è Lega, questa? L’Umberto era un rivoluzionario da carbonari. Roba da cantina. Si cantava Ivan Della Mea, si cantava anche Brassens milanesizzato da Nanni Svampa, ci si inciuccava nelle cave, si amoreggiava anche al Carcano in pè, contr’al mur perché non avevi neanche la Seicento. Era un’Italia milanese di sinistra notturna da Navigli che quand’ ‘riva el cald e riesco no a dormir e vado in giro a vedere chi passa e chi attacca i manifesti al muro.

Era un altro Nord, antigaribaldino, antitaliano, allocato su una isola utopica inesistente – la Padania – e avevano dato un’anima a un popolo unito soltanto nell’odiare Roma Ladrona, che poi era sempre la loro stessa Roma perché in fondo se l’erano venuta a prendere a cannonate proprio lor, quel Venti settembre del 1870. Comunque: negazionisti sull’Italia, mito celtico, razzisti a parole, sbruffoni e intelligenti, romantici e popolani, ma. L’Umberto era un figo (con la “g” mentre i romani dicono fico) terrificante, tutte le lo volevano fare, ai congressi vende le mutandine da «noi le nostre donne ce le scopiamo non vogliamo la fecondazione artificiale». Urla delle leghiste. Ma te l’immagini se l’Umberto avesse detto che apriva la Lega-Puglia? Gli avrebbero sparato. O Lega-Tor Bellamonaca? Ma siete scemi? Il Matteo ha capovolto tutto: partito nazionalista standard, buono sia per Orban che per Oberdan, tanto nell’autunno della storia tutti i gatti sono bigi e le mucche volanti, anche. Non stiano a guardare al capello. Tutti in culo alla Merkel e a Macron, morte all’Europa, morte all’Euro, Viva Borghi e viva Bagnai, hasta la victoria, forse.

Nazionalismo misura extra-large, si porta sempre e gli puoi far fare un giro in lavatrice, programma multietnico. Italians first? Sai che trovata. Fòra l’africani. Però intanto il Balotelli che parla bresciano te lo tieni e fai finta di essere daltonico. La Lega perde la ragion d’essere, la veste, il contenuto, lo charme, il colore, le armi, il sex appeal. I fascisti – bella faccia di bronzo però ci credevano – cantavano faccetta nera sarai romana e per bandiera tu c’avrai quella italiana. Faccetta nera, italiana? Ma figurati.

E adesso che succede? Succede che la Lega dell’Umberto, che veleggiava su un sogno pazzesco e mai avvenuto, ha perso la vela e il veto ed è diventata un monumento funebre che si regge su una sloganistica d’accatto: prima noi e poi loro, dovemo magnà mejo noi de li servaggi, ma signora mia non ha sentito che questi non si lavano mai. Ma perché fanno tanti figli se poi non hanno di che dargli da mangiare e ce lo vogliono rubare a noi? Col Matteo non si vola alto. Programmi, non pare. Federalismo? E ched’è, è robba che se magna? E poi, come dice l’Umberto che tutto vede e poco commenta: la Giorgia, nel senso della Meloni, s’è sganciata dal nazionalismo puro e si sta facendo rifare i panni da lady Thatcher, sia pure de noantri. Nelle mani di Crosetto, veleggia e risale. Ma Matteo, buttato il Carroccio nel santo Po, rischia di seguirlo sui fondali col cappio al collo.

Avatar photo

Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.