Più guadagni, più tasse paghi: spiegare questo concetto è difficilissimo. L’articolo 53  della Costituzione italiana, noto a commercialisti e consulenti del lavoro, è chiaro come il terzo mistero di Fatima a studenti, impiegati, operai, ma anche a ingegneri e medici. Il taglio dell’aliquota alla middle class resterà un concetto di difficile assimilazione. Un quotidiano ha titolato: Irpef, taglio al ceto medio, giù l’aliquota del 30 per cento. Chi scrive ha provato a spiegare in mille modi e a mille pubblici diversi: anche se sei Silvio Berlusconi o Bill Gates, per i “redditi italiani”, sul primo “pezzo” paghi il 23%, sul secondo il 27% fino a versare il 43% oltre i 75mila euro di reddito. In genere, aggiungo: vi sembra possibile che chi guadagna 76mila euro lordi si ritrovi in tasca, netti, meno di chi ha guadagnato 75 mila? Ma poi mi fermo qui.

La “progressività” dell’articolo 53 è spesso un dramma anche per gli studenti di Giurisprudenza che sostengono l’esame di Scienza delle finanze. La premessa è stata un po’ lunga, l’alternativa potrebbe essere quella di chiarire il significato di cuneo fiscale: al datore di lavoro un dipendente costa, per dire, 3mila euro al mese, ma il lavoratore ne incassa circa la metà. E non tutti i costi sostenuti dal “donatore di lavoro” (cito Rosalia Porcaro, nota attrice) compaiono in busta paga: contributi Inps a carico dell’azienda, quota di Tfr (cioè la “liquidazione” da accantonare) e chi più ne ha più ne tolga. Agire sul cuneo fiscale significa questo: fare in modo che il netto e il lordo non siano poi così diversi. Gli sgravi contributivi per i neo-assunti o per alcune categorie diventano, per i tecnici, un pretesto per azionare il valzer – anzi la rumba – di assunzioni e licenziamenti: ti licenzio (o ti faccio dimettere) dalla ditta Alfa e ti assumo, da disoccupato, sulla ditta Beta.

Perché gli imprenditori di un minimo livello hanno sempre più di una società sulle quali collocare i dipendenti, come in una scacchiera manovrata da Garry Kasparov. Unica eccezione, i calciatori. Pattuiscono i compensi al netto. Quando il campione (meglio non fare nomi) strappa al presidente di turno un contratto da tre milioni di euro all’anno, ne costa circa il doppio. Noi comuni mortali facciamo i conti, anche se non lo sappiamo, con la progressività dell’articolo 53 della Costituzione. Ma non è giusto limitarsi alle critiche.

La riduzione delle aliquote, anche se non sarà percepita dai diretti interessati, è un buon inizio per la riforma del Fisco. I datori di lavoro sorrideranno: per loro nulla cambierà, almeno per i lavoratori già assunti. Il costo aziendale non muterà, saranno i dipendenti a percepire un “netto più sostanzioso”. Ricordando la figura di Armando, il portiere di Così parlò Bellavista, lancio una proposta che non è ironica: riproponiamo la figura del portiere, nel senso di quel lavoratore che vigila sul fabbricato, lo custodisce e lo controlla, che è un punto di riferimento per i condomini. Pensate alle notifiche, alla consegna di pacchi e corrispondenza e alle intrusioni di testimoni di qualsiasi religione o venditori di aspirapolvere o di malintenzionati. I portieri sono una specie in via di estinzione: costano troppo. Si organizzi uno “scivolo” verso il pensionamento, esentando dal pagamento di contributi e ritenute, gli over 50 che hanno perso il lavoro. A una sola condizione: divieto assoluto di sequestrare e “schiattare” il pallone ai bambini che giocano nel cortile.