L’uomo comune non sa, non deve e non può sapere fino in fondo che cosa accade nei luoghi del potere, a cominciare dai tribunali. Partiamo da un presupposto di verità: il Tribunale di Napoli non è assolutamente peggiore degli altri. Io che lo frequento da oltre 40 anni, al pari di altri uffici giudiziari, posso dire con certezza che sia in termini di efficienza che di trasparenza questa sede non è peggiore delle altre; anzi, forse che è persino migliore della media. Detto ciò, questo non significa assolutamente che non accadano spessissimo vicende davvero sconcertanti che l’uomo comune ignora completamente, un po’ perché sfuggono agli occhi della stampa e un po’ perché non vi sono interessi che ne spingano la conoscenza. Bisogna fare un’ulteriore premessa: le sentenze non raccontano i fatti che, nella loro storicità effettiva, è sempre difficilissimo accertare.

Le sentenze sono l’effetto delle decisioni dei giudici ed esprimono le loro opinioni, valutazioni e convinzioni in ordine a determinate vicende , piaccia o non piaccia, le valutazioni che possono compiere i giudici sono amplissime e, nei fatti, non del tutto sindacabili. Questa è la ragione per la quale lo stesso medesimo fatto, ammesso che lo si ricostruisca esattamente – e questo anche oggi rimane difficilissimo – può essere valutato del tutto diversamente. Insomma, le sentenze sono solo opinioni e convinzioni che diventano fatti che, come tali, vanno a incidere concretamente nella vita delle persone e nell’assetto politico ed economico del Paese. Detto ciò, tra le tante vicende – e diciamo pure ingiustizie – che ho incontrato ve ne è una di cui voglio sommariamente parlare.

L’imputato era un grosso industriale e un importante personaggio politico che, insieme con i suoi dirigenti, era accusato di aver fatto un uso illegale di uno strumento urbanistico per il rifacimento di un manufatto in un suo stabilimento in provincia di Napoli. In pratica, non era accusato di aver realizzato un intervento illegittimo, ma di aver utilizzato uno strumento amministrativo diverso da quello che, secondo il pm e il suo consulente, avrebbe dovuto usare. Si trattava, in buona sostanza, di era una questione assolutamente e totalmente formale. L’imprenditore, inoltre, non aveva tratto alcuna forma di beneficio dall’utilizzo di quella determinata procedura amministrativa. Insomma, era una semplice questione di nomi.

Ebbene, per questa storia meramente formale, lo Stato ho sostenuto un processo che è durato oltre dieci anni nominando periti su periti, tutti lautamente retribuiti, ha impegnato personale amministrativo, di polizia e decine di magistrati. Per dirne una, il giudice ha sbagliato tribunale inviando le carte in un posto per un altro, combinando pasticci su pasticci. Qui si coglie il primo paradosso: se l’imprenditore sbaglia l’intestazione della pratica viene condannato e la sua fabbrica viene abbattuta; se il giudice sbaglia nell’individuare l’ufficio dinanzi al quale celebrare il processo, invece, non succede nulla. Arrivati alla sentenza di primo grado, dopo decine di udienze e peripezie di ogni genere, si è scoperto come tra gli imputati figurassero anche un uomo defunto da lungo tempo, mentre un altro si trovava altrove e un altro ancora era negli Stati Uniti.

Benché non fossero presenti in aula e la circostanza risultasse anche dai verbali di udienza in cui il cancelliere aveva esattamente indicato assenti e presenti, per il tribunale erano tutti vivi, vegeti e presenti. Il risultato? Tutti condannati sino a quando altro magistrato, dopo aver letto i certificati di morte, i biglietti aerei e i passaporti da me esibiti, si convinse del fatto che il mio cliente non fosse presente perché morto da tempo e che gli altri imputati non fossero presenti. Ciò non toglie che, in primo grado, la condanna fu pronunciata anche nei confronti del caro estinto; e ora, con la famosa legge Severino, basta anche una sentenza di condanna in primo grado per determinare conseguenze non da poco a carico del soggetto ritenuto colpevole.

Funziona così, in pratica: la politica e l’economia sono completamente nelle mani dei tribunali che spesso pronunciano sentenze di condanna e bruciano la carriera professionale e politica di centinaia di persone in attesa di una successiva pronuncia della magistratura, magari di segno diverso. Tornando alla vicenda giudiziaria, fu proposto appello, mentre i reati ipotizzati si prescrissero; nonostante la prescrizione la Corte di appello dovette riconoscere come l’imprenditore impegnato in politica, a prescindere dal nome della pratica con cui era stata battezzata la ristrutturazione del piccolo capannone (iter comunque del tutto lecito), avesse agito correttamente.

Di qui l’assoluzione per assoluta evidenza della sua estraneità alle contestazioni (il tutto, si badi bene, nonostante la prescrizione). La vicenda che ho voluto ripercorrere sommariamente è costata il rischio della demolizione di uno stabilimento e la sua paralisi per un decennio, oltre spese enormi per una questione sciocca. Il mio cliente ha rischiato di vedersi bruciata la carriera. In Italia, purtroppo, funziona in questo modo.