Sono andati a casa sua l’altro giorno alle sei di mattina. Ma lui dormiva sodo. Dormiva “a suonno chino”, dicono a Napoli. Hanno suonato il campanello per mezz’ora: non li ha sentiti. Deve essere un tipo placido. Allora hanno lasciato un biglietto. Quando lo ha letto, e ha capito cosa stava succedendo, quasi sveniva. Ieri ha scritto su Facebook tutto quello che ha pensato, in quei momenti, e come gli è caduto tutto il mondo addosso. Lui è un giovane senatore della Repubblica, si chiama Marco Siclari, milita in Forza Italia. E i carabinieri che bussavano e bussavano al portone della sua casa romana volevano dirgli che la Procura di Reggio Calabria chiede al Senato il permesso per arrestarlo e sbatterlo in gattabuia come mafioso o comunque come amico dei mafiosi e scambiatore di voti con la mafia, la mafia calabrese, cioè la ‘ndrangheta. Lui effettivamente è calabrese, e voi lo sapete benissimo che essere calabrese è un indizio molto forte di mafiosità. Anche se sei un medico che si è laureato a Roma, che ha sempre lavorato a Roma, che la Calabria non l’ha vista per tanti anni.

Sì, è vero – dicono gli inquirenti – non l’hai vista per anni la Calabria, ma poi ci sei tornato nel 2018 per la campagna elettorale, perché è lì che sei stato eletto senatore. E come sei stato eletto senatore? E chi ti ha trovato i voti? Siclari in queste ore ha cercato di ricostruire quali siano le accuse contro di lui. E ha scoperto che più o meno il teorema è questo: lui avrebbe incontrato durante la campagna elettorale un signore che pare che sia collegato alla mafia. E questo signore probabilmente gli ha chiesto di raccomandare una ragazza amica sua, per farla assumere alle Poste. Lui ha cercato di capire chi era questo signore e chi era questa ragazza. La ragazza pare che non sia stata assunta da nessuna parte, e non c’è traccia di nessun suo incontro o colloquio né con questa ragazza né con nessun dirigente delle Poste. Il signore è un tizio che gli fu portato dal Presidente della più importante cooperativa di medici di Reggio Calabria.

Pare che effettivamente Siclari lo incontrò durante la sua campagna elettorale. Non in segreto. Non a casa sua o a casa del presunto mafioso o del medico. Non in un bar. Nel suo ufficio elettorale, alla presenza di decine di collaboratori. Siclari ha calcolato di avere ricevuto durante la campagna elettorale, nel suo ufficio, un migliaio di persone. Le campagne elettorali in genere si fanno così: si cerca di parlare a più persone possibile, di risultare seri e simpatici, convincenti, e di conquistare il consenso. Le campagne elettorali non sono interrogatori di polizia. In campagna elettorale tu cerchi di conquistare l’elettore, non cerchi di sapere qual è la sua biografia.

Poi Siclari ha provato a capire chi era davvero questo signore sconosciuto sospettato di mafia. E ha scoperto che al momento in cui lo ha incontrato, il signore era incensurato. Noi non conosciamo il senatore Siclari. Però se le cose stanno davvero così è molto grave quello che sta succedendo. C’è da sperare che i colleghi di Siclari non concedano l’autorizzazione all’arresto. Ma è una speranza flebile flebile. La politica – anche il Parlamento – quando vede un Pm e un paio di manette di norma se la fa addosso.