La materia dei servizi segreti è questione da maneggiare sempre con una certa cautela. Una cattiva immagine, derivante da decenni anni di veri o presunti depistaggi e deviazioni, deve indurre tutti alla massima precauzione, soprattutto quando si mette mano alla legislazione. Dopo vari tentativi di riforma e qualche maquillage nominalistico – con cambi di sigle e nuove denominazioni più formali che sostanziali (a esempio da Sismi ad Aise) – dal 2007, con la legge 124, i servizi di intelligence hanno ritrovato un clima di fiducia e di serenità nella politica e tra la pubblica opinione; clima che, oggettivamente, rappresenta un patrimonio prezioso per un paese esposto a minacce di vario genere e che si barcamena in un mondo attraversato da drammatici cambiamenti di assetti e di alleanze.

Da questo punto di vista lo scontro politico, consumatosi tra le fila del M5s sull’emendamento presentato dall’onorevole Dieni e da un cinquantina di deputati del suo gruppo parlamentare, non può essere archiviato come una delle solite scaramucce pre-elettorali o delle lotte intestine che si stanno consumando tra le file di un partito che vive una complessa transizione. La vicenda è nota. Il presidente del Consiglio che, per legge, è titolare della direzione politica e organizzativa dei servizi di intelligence, ha preteso e ottenuto che in uno dei tanti decreti legge anti-Covid fosse inserita una norma che prolunga da 4 a 8 anni la durata degli incarichi degli uomini posti ai vertici delle strutture di informazione.

La giustificazione è comprensibile e, in fondo, del tutto scontata: quegli uomini godono della personale fiducia e stima di Conte e non v’è ragione per interrompere una sequela di collaborazione iniziata sotto l’ombrello del governo di matrice giallo-verde. L’onorevole Dieni, avvocato e componente del Comitato parlamentare che vigila sull’attività dei servizi, ha tentato di far cancellare la proroga con un blitz d’aula assolutamente legittimo e troppo in fretta fatto passare per un regolamento di conti tra pentastellati. Per sventare la manovra il governo ha posto la fiducia e riportato tutti all’ordine, confermando i desideri della Presidenza.

A occhio e croce nulla di strano, si dovrebbe dire. La funzione di intelligence è strategica e imprescindibile per il decisore politico e, in questo caso, come accade in molte democrazie liberali, è normale e naturale che i vertici dei servizi debbano godere della massima fiducia del capo del governo. Ci mancherebbe. Tuttavia le cose non stanno esattamente così. Il tempo, la durata delle funzioni pubbliche è questione complessa e delicata perché, inutile dirlo, attinge al cuore della democrazia. La rieleggibilità del presidente degli Stati Uniti per massimo un secondo mandato. La durata della legislatura italiana fissata in 5 anni, l’ordinaria durata del mandato del Quirinale stabilità in 7 anni (unica, breve eccezione quella, non priva di perplessità, di Giorgio Napolitano), la durata in carica del Csm per 4 anni non sono numeri dati a casaccio, estratti dal bussolotto capriccioso dei costituenti di ogni democrazia, ma i paletti temporali invalicabili assegnati all’esercizio di rilevanti funzioni pubbliche.

Il tempo, e solo il tempo senza alcun ulteriore intervento umano, si incarica di spogliare il titolare della sua potestà e di restituirlo nudo alla sua provenienza. Quando questo meccanismo salta o viene truccato (vedi in Bielorussia) a entrare in fibrillazione, anzi a essere vulnerata, è la sostanza della democrazia che, persino per i consoli dell’antica Roma, prevedeva tempi massimi di permanenza nel palazzo del potere. E quando un tempo prestabilito non esiste le prassi istituzionali, i famosi interna corporis, vengono in aiuto e coprono il vulnus: celebre il caso di un pluriennale capo della Polizia, ritenuto probabilmente a ragione di straordinarie qualità, alla cui ulteriore permanenza nell’incarico venne però considerato di ostacolo che la Costituzione prevedesse per il presidente della Repubblica un mandato di 7 anni e a cui venne detto che tale limite doveva ritenersi invalicabile per i vertici di tutte le istituzioni.

Qualcuno potrebbe dire, quindi, che quello di Conte è un grave errore o una palese sgrammaticatura costituzionale.
La norma modificata, sotto l’ombrello dell’emergenza anti-Covid («Al fine di garantire, anche nell’ambito dell’attuale stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, la piena continuità nella gestione operativa del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica»), ha dilatato come detto da 4 a 8 anni la permanenza massima nell’incarico dei vertici delle strutture di intelligence del paese.

Si è valicato il muro “invisibile” del settennato e si è dato corso a un discutibile precedente che forse potrebbe innescare aspettative e ambizioni del medesimo tenore nei piani alti dell’Amministrazione pubblica. Si potrebbe dire che la qualità di questi uomini e la loro indiscutibile fedeltà istituzionale offrano ogni garanzia e possano dissolvere qualunque perplessità. Ma non è questo il punto. Se un governo degli ottimati fosse il miglior governo possibile né Churchill De Gasperi avrebbero mai dovuto essere mandati a casa e spogliati del loro potere. Ma il tempo delle elezioni chiama il popolo alle urne e, per fortuna, rende precaria e incerta ogni investitura o ogni plebiscito.

Ecco, è oggettivamente discutibile che si sia voluta sostituire la clessidra inesorabile e cieca del tempo con le necessità derivanti da una relazione fiduciaria evidentemente privilegiata e talmente imponente e robusta da mandare indietro le lancette dell’orologio e procrastinare la svestizione. In questo snodo si annidano perplessità e dubbi, tutti quelli che è giusto vengano espressi ogniqualvolta il governo ricorre al principio d’eccezione e invoca un’emergenza. Cambiare le norme per assecondare le proprie, pur legittime e trasparenti, istanze o necessità non è mai esercizio di buon governo, perché finisce per esaltare relazioni fiduciarie che la legge tutela e valorizza solo entro invalicabili limiti temporali e che sono eccezioni assolute nella trama costituzionale della Repubblica.