Parlare di destra e di sinistra, di fascismo e antifascismo? Sono categorie sulle quali stenderemo un velo pietoso. Piuttosto parliamo di putiniani e anti-putiniani, dato che lo scontro si sta giocando su questa diade. In quanto gli occidentali hanno capito che il nemico sta in Oriente, come ai tempi della guerra fredda. Morta Yalta, che si è trascinata dietro l’Urss, oggi mena le danze Vladimir Putin, l’ex colonnello del KGB. Da Putin al putinismo, che oramai è un’ideologia che sta conducendo una campagna di penetrazione nei gangli vitali dell’Occidente. Insomma, è un’ideologia  che delinea la filosofia e la strategia politica di Vladimir Putin, entrato nel linguaggio popolare durante il periodo della sua ascesa ai vertici della Federazione Russa.

Il termine putinismo risale per la prima volta sulla Sovetskaya Rossiya, pubblicato sul sito internet del partito Yabloko che lo definiva come “la fase più alta e finale del capitalismo in Russia”. L’obiettivo primario è il consolidamento del concetto di nazione-nazionalismo portatore di odio contro alcune etnie, attacco alle libertà di parola e politica e sottopone i russi a un lavaggio del cervello tramite l’informazione. Inoltre si muove sull’isolazionismo della popolazione, ossia alcun contatto col mondo esterno e – infine – rientra in questa ideologia il degrado economico.

L’ideologo che sussurra le teorie più strampalate a Putin è Aleksandr Dugin, che trova i suoi estimatori in molti leghisti della razza di Salvini. Spicca tra questi Gianluca Savoini, legato a doppio filo al putinismo. Sennonché Dugin si contraddistingue per l’anti-occidentalismo e per essere un ultranazionalista. La minaccia per l’Occidente è Putin, il putinismo e i putiniani. In Italia sono i Salvini e i Vannacci i putiniani, come in Francia la Le Pen, in Spagna Abascal di Vox, Orbán in Ungheria, e così via. Cosa farà la Meloni con il suo vicepresidente del Consiglio, avendo lei scelto il Patto Atlantico, Nato e Ue? A ben vedere, il problema riguarda il suo governo e giocoforza la civiltà occidentale.

Consapevoli del pericolo, “non chiedere mai per chi suona la campana, essa suona per te”. Suona per gli Usa e per l’Europa, che non sono in buona salute e dovranno trovare – qui e ora – l’antidoto per accettare la sfida con Putin. Ragion per cui l’Ucraina è una questione di vita e di morte. Negli States si sfoglia la margherita: Biden sì o Biden no candidato contro Trump, amico di Putin, pronto a fare la qualunque, come al solito. Ben altro bisogna pensare, dal momento in cui sono in corso due violenti e tragici conflitti, le cui conseguenze hanno portato a degli sconvolgimenti sul piano geopolitico e su quello dell’ecosistema. Da una parte c’è la Russia che ha invaso l’Ucraina; dall’altra il conflitto tra Israele e Hamas dopo che l’organizzazione terroristica palestinese islamista ha attaccato il territorio israeliano il 7 ottobre (un massacro di vecchi, donne e bambini) e ha rapito allora circa 150 ostaggi. Meglio non addentrarci in altri teatri di guerra regionali, altrimenti entreremmo in un buco nero perdendo di vista ciò che ci interessa di più: lo scontro di Putin in Occidente e, di conseguenza, in Italia.

Tre campagne elettorali hanno caratterizzato l’Ue: il Regno Unito e la Francia. Il 9 giugno si sono svolte le elezioni europee, il cui risultato ha mantenuto l’alleanza tra le tre famiglie più importanti: quella dei popolari, la socialista e la liberal-democratica. Stiamo a vedere cosa succederà a Strasburgo: von der Leyen o no alla presidenza. Un voto incerto per la presenza di franchi tiratori. Nel Regno Unito ha vinto il Labour Party, premier Keir Starmer, dopo 14 anni di disastri di governo dei Tory. I peggiori premier: David Cameron e Boris Johnson. Comeron indisse il referendum per confermare il Regno Unito nell’Ue e, viceversa, gli elettori scelsero la Brexit. Ancora. Si fece coinvolgere da Sarkozy per non far venir fuori gli scheletri dall’armadio, nella guerra contro il rais libico Gheddafi. Il cui finanziamento dato al presidente francese, per la campagna elettorale, l’ha pagato a caro prezzo: ucciso, barbaramente, da killer al soldo di una “potenza straniera”. Guerra che ha destabilizzato il Mediterraneo e il Nord Africa, e la Libia soprattutto divisa in due in cui fanno da padroni i russi, i turchi e i francesi. Esclusi gli italiani grazie agli sciagurati governi Conte. L’Italia, che aveva un rapporto privilegiato con Gheddafi, fu costretta a combattere contro per via del diktat su Berlusconi (amico del rais di Giorgio Napolitano e del ministro della Difesa, Ignazio La Russa) al carro degli USA di Obama, pessimo presidente, del Regno Unito e della Francia. Senza dimenticare Boris Johnson che ha spinto, in modo spregiudicato, Zelensky per non trattare con Putin per trovare la pace.

Dopo i cattivi risultati elettorali europei, con l’avanzata di Rassemblement National – RN – di Marine Le Pen e di Jordan Bardella, Macron ha sciolto l’Assemblea nazionale e ha convocato le elezioni anticipate: 30 giugno primo turno e 7 luglio il ballottaggio. Né Le Pen con RN né Mélenchon con Fronte Popolare hanno preso la maggioranza e la Francia è divisa in tre schieramenti (compreso quello di Macron). Un’abilità con cui Macron ha sbarrato la strada alla destra-destra di Le Pen che non ha conquistato la maggioranza, il che avrebbe sconvolto il mondo occidentale per via della sua alleanza con Vladimir Putin. E il medesimo impegno dovrebbe metterlo per formare un governo di larghe intese con la presenza dei socialisti di Holland e Glucksmann. Detto questo, la Germania di Scholz non è un’isola felice. Anzi, tutt’altro: vive una crisi mai riscontrata prima di oggi.

Intanto Meloni voterà von der Leyen? Si isolerà o rientrerà nel gioco contribuendo all’elezione? E poi riuscirà a liberarsi della sindrome nessuno nemico a destra, inseguendo Salvini e rischiando di fare la fine di Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra 1908? Grande è la crisi in Occidente e in Italia. Salvini putiniano e Meloni occidentale, due posture incompatibili tra loro, ballano sul Titanic. Elly Schlein balla da sola nei Gay Pride. I riformisti, se ci fossero, battessero un colpo. Con il metodo maieutico, Romano Prodi – Corriere della Sera – tira fuori che “c’è una forza riformista notevole e io vorrei che questo riformismo diventasse abbastanza grande da avere un ruolo di governo”. All’orizzonte, non c’è alcun fil di fumo.