Era il 1981...
Quando il Mundialito per club mandò in crisi la Rai: l’intuizione di Berlusconi e l’effetto rivoluzionario

Quando il Mundialito di calcio rivoluzionò l’ordine costituito della TV italiana e del calcio. Nell’inverno del 1981, l’Italia fu spettatrice di uno di quei rari momenti in cui lo sport incontra la cultura popolare e accende una miccia destinata a cambiare un’intera epoca. Quell’anno, il calcio italiano – e con esso la televisione – visse un passaggio epocale: un vero e proprio spartiacque tra il passato e un futuro ancora tutto da scrivere. Al centro di questo cambiamento c’era un torneo oggi quasi dimenticato, ma che all’epoca rappresentò qualcosa di completamente nuovo: il Mundialito per club, disputato a Montevideo, in Uruguay.
Il Mundialito che mise in discussione il monopolio Rai
Non era una competizione ufficiale, né destinata a lasciare un segno nei palmarès delle grandi squadre europee o sudamericane, ma riuscì nell’impresa di rivoluzionare l’immaginario del calcio in televisione e di mettere in discussione il monopolio culturale e sportivo della RAI. Il torneo nacque per iniziativa dell’emittente uruguayana Canal 10, con il supporto del governo locale e un appoggio indiretto della FIFA, con l’intento di celebrare il cinquantesimo anniversario della prima Coppa del Mondo, disputata proprio in Uruguay nel 1930. A gennaio 1981, scesero così in campo il Flamengo (Brasile), il Peñarol e il Nacional (Uruguay), l’Ajax (Olanda), il Bayern Monaco (Germania) e l’Inter (Italia).
La svolta di Berlusconi: calcio in tv per intrattenere
Già dalla selezione delle squadre si capiva che l’obiettivo non era solo tecnico, ma anche mediatico: la presenza di club di grande tradizione, alcuni dei quali già veri e propri brand globali. Tuttavia, fu soprattutto la partecipazione dell’Inter a trasformare l’evento in qualcosa di molto più grande per il pubblico italiano. A rendere il Mundialito un evento storico per l’Italia non fu soltanto il calcio giocato, ma la modalità in cui venne trasmesso. A sorpresa, i diritti non furono acquistati dalla RAI, che fino ad allora aveva gestito in esclusiva quasi ogni grande evento calcistico trasmesso nel Paese, bensì dalla neonata Canale 5, emittente commerciale appena lanciata da Silvio Berlusconi. Per la prima volta, un evento calcistico di portata internazionale veniva trasmesso in diretta, in prima serata, da un canale diverso da quelli del servizio pubblico.
Il colpo fu clamoroso.
Fino a quel momento, il calcio italiano in televisione si era limitato alle immagini condensate di 90° Minuto, alle telecronache compassate in seconda serata della Coppa dei Campioni e a un tono sempre vagamente didascalico. Con il Mundialito, invece, Canale 5 introdusse un nuovo linguaggio televisivo: più dinamico, più spettacolare, con grafiche colorate, sigle accattivanti, commenti coinvolgenti e soprattutto una narrazione pensata per intrattenere e non solo per informare. Il calcio usciva dalla sua cornice tradizionale per diventare qualcosa di più: uno spettacolo serale, un evento popolare, capace di coinvolgere anche chi non era strettamente un tifoso. Fu un cambiamento epocale che, sebbene oggi possa sembrare scontato, all’epoca fu percepito come una vera rottura con il passato.
In quei giorni di gennaio, l’Italia intera si scoprì appassionata del calcio sudamericano, delle gesta tecniche di Zico, Tita, Junior, e delle coreografie spontanee che animavano le tribune. Ogni partita era un rito collettivo, e lo spettacolo andava ben oltre il risultato sul campo.
Al di là del risultato sportivo fu l’impatto culturale ed emotivo a rimanere impresso. Per molti tifosi italiani fu il primo vero contatto diretto con il calcio sudamericano, al di fuori delle rare apparizioni nei tornei ufficiali. Il Mundialito offrì un affresco unico: i palleggi eleganti dell’Ajax, la fisicità del Bayern, il calore uruguaiano e il talento brasiliano. Alla RAI, il colpo fu duro. L’emittente pubblica si trovò per la prima volta nella sua storia a subire la concorrenza mediatica su uno dei suoi capisaldi: il calcio in diretta. Abituata a un ruolo quasi istituzionale, la TV di Stato fu colta impreparata dall’irruzione della televisione commerciale. L’atmosfera era cambiata: non bastava più trasmettere, bisognava anche coinvolgere. E in questo, Canale 5 dimostrò una visione più moderna e aggressiva.
L’effetto rivoluzionario
Anche se tecnicamente la trasmissione presentava qualche limite – il segnale arrivava via satellite, spesso disturbato – l’effetto fu rivoluzionario. Il pubblico capì che un’alternativa era possibile, e che il futuro della TV non era più soltanto in bianco e nero. Nonostante il successo del Mundialito, il torneo non fu riproposto con regolarità negli anni successivi. Rimase un esperimento isolato, forse troppo avanti per i tempi. Negli anni ’90, con l’avvento delle TV a pagamento e l’esplosione dei diritti televisivi, il calcio divenne sempre più un prodotto da vendere e confezionare. Ma tutto iniziò proprio lì, in quella settimana del gennaio 1981, in cui per la prima volta il calcio divenne prima serata e spettacolo – Oggi il Mundialito per club è quasi scomparso dalla memoria collettiva, ma il suo valore simbolico resta enorme. Fu una miccia accesa sotto il vecchio ordine mediatico, che avrebbe portato – nel giro di pochi anni – a una ridefinizione totale del rapporto tra calcio e televisione.
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