Con l’inizio della fase 2, le aziende hanno avuto l’ok per riaccendere i macchinari, ma cosa succede se una fabbrica riparte e i negozi restano chiusi? “Abbiamo aperto una settimana fa – spiega Raffaele Anastasio, titolare di Aerre Cucine, azienda italiana leader nella produzione di cucine – ma è stato inutile: che senso ha aprire se i punti vendita sono chiusi?” Così una fabbrica con un fatturato di circa sei milioni l’anno si trova con zero entrate: in funzione, ma senza ordini. “Tante attività si sono lanciate nell’e-commerce, ma io non posso – aggiunge Anastasio – perché i prodotti che vendiamo richiedono progetti e misure. Non possiamo vendere cucine online”. La rete si è dimostrata un flop, ma anche la Regione non sembra aver dato buona prova di sé.

“Ci serve subito liquidità per ricominciare – fa sapere Anastasio – Non abbiamo incassato neanche le commesse ricevute a febbraio e non so se tutti i clienti confermeranno gli ordini”. Chi ha fatto degli acquisti quattro mesi fa non poteva immaginare di ritrovarsi in questa situazione surreale, a cominciare dalle coppie che quest’anno si sarebbero dovute sposare e che invece hanno disdetto tutto. “La cucina è una delle prime cose che si progetta quando si entra in una casa nuova – racconta Anastasio – Con lo stop dei matrimoni, abbiamo perso queste entrate che rappresentano gran parte del nostro fatturato annuo”.

Tutti i dipendenti dell’Aerre Cucine si trovano al momento in cassa integrazione e Anastasio si augura di non dover operare tagli al personale. “Ma tutto dipende – conclude l’imprenditore – da quanto lavoro ci sarà quando ripartiremo per davvero”. Si arriva al 18 maggio con un enorme punto interrogativo, dunque, e tanta voglia di indicazioni che consentano davvero una ripartenza intelligente e produttiva.