“La malinconia definisce il carattere degli italiani, il nichilismo. È la fine dell’era dell’abbondanza e delle sicurezze”. È il ritratto del nostro Paese secondo Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, presentando la 56esima edizione del Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2022.

Una malinconia che “corrisponde alla coscienza della fine del dominio dell’Io sugli eventi del mondo, l’Io che è costretto a confrontarsi con i propri limiti quando è costretto a relazionarsi con il mondo”. Situazione che deriva da questi ultimi 3 anni “straordinari” che hanno visto eventi eccezionali che vanno dalla pandemia alla siccità fino al caro bollette e alla guerra, “i grandi eventi della storia che si è rimessa in moto e con cui dobbiamo relazionarci”.

L’Italia povera

Entrando nel merito dei numeri messi insieme dal rapporto Censis, emerge come nel 2021 un italiano su quattro, il 25,4 per cento della popolazione, sono soggetti al rischio di povertà o di esclusione sociale. Di questi, proponendo ancora una volta la nota quanto irrisolta “questione meridionale”, il 41,2% sono residenti nel Mezzogiorno a fronte del 21% nel Centro, del 17,1% nel Nord-Ovest e del 14,2% nel Nord-Est.

In totale le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta sono più di 1,9 milioni, il 7,5% del totale: un milione in più rispetto al 2019.

I timori del Paese, dall’inflazione alla guerra

Quindi le paure degli italiani, i timori e lo sguardo preoccupato al futuro. I due temi forti in questo caso sono la crisi economica e la guerra. Gli italiani temono infatti più di tutto la corsa dell’inflazione e il rincaro dei prezzi: per questo oltre il 64% sta mettendo mano ai risparmi e le prospettive sono drammatiche. Per la quasi totalità degli italiani, il 92,7 per cento, è convinta che l’accelerata dell’inflazione durerà a lungo e che bisogna pensare subito a come difendersi.

L’altra grande preoccupazione riguarda il conflitto in corso in Ucraina. Per il 61,1% il rischio è che possa esplodere una nuova guerra mondiale e il 57,7% crede che l’Italia stessa possa entrare attivamente a far parte del conflitto.

Il post populismo

Il rapporto Censis definisce l’attuale fase in cui è entrato il Paese come “il ciclo del post-populismo”. “Siamo in una fase di post populismo”, ha infatti sottolineato Valeri nel presentare il rapporto, “non ha più senso parlare di populismi, c’è una continuità tra il governo precedente e quello di oggi” e, ha aggiunto, “c’è questa ritrazione silenziosa dei cittadini ‘perduti’ della Repubblica”.

Colpa, spiega il Censis, degli effetti deleteri delle quattro crisi sovrapposte dell’ultimo triennio: la pandemia Covid, la guerra alle porte dell’Europa, l’alta inflazione, la morsa energetica che affligge il Paese, con la paura di essere esposti a rischi globali incontrollabili.

A cambiare in questo nuovo scenario è anche l’immaginario collettivo, in cui irrompe fortemente l’austerità. Da qui la crescita della repulsione verso i privilegi considerati “odiosi”. Gli italiani trovano “insopportabili” i seguenti fenomeni: la disparità salariale tra dipendenti e manager (87,8%), i bonus milionari di buonuscita per i manager, pagati per andarsene piuttosto che lavorare (86,6%), le tasse troppo basse pagate dai colossi del web (81,5%), i guadagni degli influencer, gli eccessi e gli sprechi per le feste delle celebrità (78,7%), l’uso di jet privati (73,5%) e l’ostentazione sui social di spese stratosferiche in hotel, ristoranti e locali notturni (69,3%).

Il rapporto evidenzia che queste “insopportabilità sociali” non sono liquidabili come “populiste” ma “sono i segnali del fatto che nella società si è già avviato un ciclo post-populista basato su autentiche e legittime rivendicazioni di equità, in una fase in cui molti sentono messo a repentaglio il proprio benessere”.

Redazione

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