Massimo Cacciari o Mauro Corona? Essere (l’uno) o essere (l’altro)? O entrambi insieme? Il dubbio surclassa perfino l’interrogativo amletico. Sere fa, infatti, d’improvviso, abbiamo avuto la netta sensazione di assistere a un prodigio televisivo. Un fenomeno, sia detto nell’accezione più alta del termine, riferibile al mostruoso. Massimo Cacciari e Mauro Corona sembravano, o forse erano, la medesima persona. La stessa faccia, identica la percezione del soggetto soprapposto, appunto, all’altro. Impossibile, insomma, distinguere se l’ospite in collegamento con lo studio del giornalista Mario Giordano fosse l’uno o l’altro. Avete compreso bene, era proprio Cacciari, ma poteva essere invece Corona, perfino visivamente, somaticamente, in termini prossemici, perfino come capacità di occupare lo spazio mediatico, l’inquadratura stessa. Insomma, l’uno valeva l’altro; e non si pensi affatto che il nostro sia un giudizio di valore, di merito, di qualità.

Non stiamo affermando che uno scultore-scalatore-scrittore, a suo modo pittoresco come il Magico Alverman, abbia lo stesso peso specifico di un filosofo plurilaureato, anche ad honorem già sindaco, politologicamente inappuntabile, e viceversa. Resta però che non avremmo mai immaginato di assistere alla improvvisa trasformazione di Massimo Cacciari in Mauro Corona. Non fraintendeteci, ognuno di loro, singolarmente, in sé, mantiene le proprie straordinarie impagabili, incoercibili peculiarità: il punto riguarda semmai la verosimiglianza mediatica. Sembra infatti che l’uno, nell’evidenza dello spettacolo televisivo, valga ormai l’altro. Sarà magari vero, in breve, che i volti di chi partecipa agli inenarrabili talk, ancor di più in tempi di pandemia e di contagio diffuso, sembrino comporre un unico inestricabile spettacolo umano e dialettico?

Sarebbe però vergognosamente semplicistico tirare prosaiche somme circa la rivelazione, l’epifania ricevuta, se è così partiamo allora dall’inizio. Bene, di Massimo Cacciari sappiamo, appunto, si tratti di un filosofo dialetticamente indiscutibile, in possesso delle lingue stesse d’ogni possibile ontologia, addirittura già sindaco di un pezzo unico monumentale e mirabile di città, Venezia e la sua Laguna. Sempre di lui, cioè del Cacciari non ancora fuso in Corona, è opportuno ricordare un’opera capitale, Krisis, indagine sul cosiddetto pensiero negativo, e ancora l’interesse per Walter Benjamin e il suo Angelus Novus, il messaggero della Storia che avanza in un paesaggio di rovine con sguardo rivolto all’indietro, icona ispirata a un disegno di Paul Klee; cose complesse che non possono essere sovrapposte all’ordinario pensiero no-vax e no-green pass, all’osceno televisivo e di piazza in nome di una presunta “dittatura sanitaria” in atto. Nessuno, in breve, potrebbe mai, assodati i titoli, supporre Cacciari un rettiliano, peggio, un licantropo. Fenomeno da trucchi propri del cinema mannaro americano, mancava unicamente sentire in sottofondo le note di Blue Moon.

L’uomo infatti, lo studioso, diversamente da ogni possibile tatuatore o antennista laureato su Facebook, sa per certo che “Nomina sunt consequentia rerum”. Tuttavia l’altra sera, su Rete4, immenso merito o sommo crimine di Mario Giordano nel suo Fuori dal coro, è sembrato improvvisamente d’assistere a una trasfigurazione, quasi come nelle immagini spettrali e grottesche di Goya: l’ho detto, no, che Cacciari e Mauro Corona sembravano la stessa persona? Ho dovuto stropicciare le palpebre per comprendere che fosse proprio Cacciari e non l’altro. E tuttavia neppure questa operazione meccanica è servita a restituirmi pienamente il Filosofo. È accaduto quando Mauro Cacciari, o forse Massimo Corona, ha precisato con non insolita veemenza opinioni proprio contro il green pass o forse direttamente su una presunta, se non dittatura, certamente impropria intenzione del Palazzo sanitario indirizzata al controllo sociale di massa, aggiungendo d’essere supportato da una centuria di esperti, medici e specialisti, che appunto gli scrivono, così da fornirli argomenti inoppugnabili (anche a supporto, spero, della sua trasformazione in Mauro Corona).

Alla fine, abbiamo provato perfino a immaginarli i “consulenti” di Massimo Cacciari, tuttavia, anche in questo caso, è sembrato, appunto, coincidessero, visivamente, fantasmaticamente, con l’amico di Mauro Corona, il simpatico boscaiolo fischiatore Costante, detto “Il Poiana”, amabile signore che riproduce nell’ordine i versi del merlo, del fringuello, dell’allodola e perfino dell’usignolo, berretto da alpino, gilè di fustagno e barba da saggio silvano.
Qualcuno in quel momento avrà pensato, ingiustamente, che Cacciari non sia più lui, di più, che lo abbiamo perso, invece personalmente ho avuto la sensazione che fossimo in presenza di una grande opera alchemica e mediatica, proprio come quando nel laboratorio di Frankenstein Junior di Mel Brooks, la Creatura, inizialmente amorfa, si esibisce in modo stupefacente nel frac del ballerino di tip-tap. Probabilmente, ciò in cui fallisce lo scienziato interpretato da Gene Wilder è riuscito incredibilmente a Mario Giordano.

In epoche di Covid-19, può accadere questo e molto altro. Non un caso di mutante, addirittura clonante. Chissà se ci sarà modo di fare macchina indietro, ritrovare il Cacciari che ci parlava di Heidegger, Nietzsche e Wittgenstein, o semplice politologo, pronunciava il suo ormai leggendario “… sono trent’anni che lo dico, io!”, ripreso da Ubaldo Pantani, che ne ha mirabilmente imitato il bisogno della continua negazione. E chissà che Pantani non posso riuscire, dopo la nostra rivelazione, ad imitarne due in uno, in modo contestuale e simultaneo. Non basteranno i semplici virologi, non riuscirà, temo, neppure il talento di Roberto Burioni a spiegare questo incredibile fenomeno di trasmutamento, probabilmente occorreranno altri specialisti per svelare l’enigma, e forse non saranno neanche gli studiosi di dinamiche televisive narcisistiche a riuscire nell’impresa.

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Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "Quando c'era Pasolini" (2022). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube. Il suo profilo Twitter @fulvioabbate