Non servono i sociologismi (di quelli che Gramsci avrebbe chiamato “scemi”) per comprendere il senso dell’attacco violento al cuore dello Stato e ai simboli del movimento operaio. Non c’entra molto, come movente immediato della rivolta, il disagio della società reale che il voto amministrativo ha solo nascosto sotto il tappeto e che, così propone l’Huffington, andrebbe almeno mitigato con una misura esemplare come l’offerta dei tamponi “quasi gratuiti”.
La soluzione avanzata da Alessandro De Angelis ignora che la Danimarca ha circa 5 milioni di abitanti, oltre l’85 per cento dei quali sono vaccinati. In Italia i non vaccinati sono 8 milioni e i tamponi costerebbero allo Stato alcuni miliardi di euro.

Il conflitto inscenato nelle strade di Roma e Milano è preoccupante, e politicamente assai insidioso, proprio perché non riguarda rivendicazioni in denaro. Nessuno scambio monetario lo placherebbe perché si tratta di una guerra culturale che mobilita una moltitudine interclassista e intergenerazionale, collocata oltre la coppia destra-sinistra.
Quando nell’aria circola il vento dell’eversione è sempre alle idee che bisogna rivolgersi per annusarla e comprenderla nelle sue componenti genetiche. Hobbes, che se ne intendeva, suggeriva di scovare gli avamposti del nemico che operano principalmente sul piano della teoria. Non c’è dubbio che il più consistente sostegno alle mobilitazioni no-vax e no-pass, e alle credenze di folle ampie che non lesinano la vicinanza plaudente a chi ricorre a pratiche eversive, viene dalle filosofie che nei talk e nei giornali ricevono una patente di incidenza pubblica purtroppo di tutt’altro tenore rispetto a quella del secolo dei lumi.

Quando la “Stampa” pubblica l’articolo ormai celeberrimo di Cacciari e Agamben, il vero manifesto di tutte le sedizioni possibili contro la dittatura sanitaria, e fa finta di ospitare un bel dibattito innocente, degno della più eterea repubblica dei filosofi, ha immesso nella vita reale un detonatore a disposizione di chi nelle piazze intende servirsene. Le altre bizzarrie filosofiche che il quotidiano di Giannini ha poi amplificato sullo stato di eccezione, sulla sospensione della democrazia, su Draghi come sovrano antidemocratico e re taumaturgo, hanno anch’esse una potenziale incidenza sovversiva, perché, proprio sul decisivo piano delle idee, negano alla radice la legittimazione e il fondamento democratico del titolare del potere costituito. Tra le idee anche le più pittoresche e le azioni concrete non esiste ovviamente una traducibilità immediata. E in uno Stato di diritto solo i comportamenti violenti sono perseguibili, non le idee, anche le più maldestre che evocano la rivolta. Ma questa immunizzazione garantistica per le idee (anche le cattive) non significa che le idee abitino in un altro mondo e che la politica non debba combatterle a fondo quando minacciano l’ordinamento costituzionale.

Non esagerava Paolo Mieli quando, ad una conduttrice Rai rapita dalle code filosofiche alla vaccinara di Cacciari come fossero un esercizio di dubbio cartesiano, obiettava che le frecce filosofiche contro il lasciapassare incidevano ancor più nei comportamenti delle rituali parole di un segretario di partito. Se Draghi è un sovrano che sequestra la democrazia, come si legge sulla “Stampa”, se la repubblica è, come scrive Travaglio, un odioso sistema di discriminazione che getta sul lastrico 5 milioni di lavoratori e somiglia con la sua morsa repressiva allo Stato dispotico dell’Arabia Saudita, il re è nudo, disobbedire è più che lecito. Tra le cose scritte dai filosofi e i ritratti di Draghi con i baffetti di Hitler è lampante la contiguità, certo non la determinazione causale, è ovvio. Quale è il rapporto tra le bombe carta di Roma, il tentato assalto a un Palazzo Chigi isolato e protetto da una camionetta e il lavoro “filosofico” di delegittimazione etico-politica della repubblica? Un fronte vasto di ribellione al foglio verde, che scavalca l’attivismo insurrezionale dei fascisti, si riconosce nelle posizioni dei filosofi. Non è un caso che Giorgia Meloni collezioni su Facebook le esibizioni anti-pass di Cacciari che denuncia la fine della costituzione, la morte della democrazia rappresentativa, il declino della autorevolezza della politica. Nella destra radicale le idee della “sinistra” alla Cacciari, Montanari, Agamben, Barbero, Canfora ricevono una accoglienza trionfale.

Se Draghi inaugura una ademocrazia, come sostengono i suoi critici di “sinistra”, la resistenza è più che legittima. Il profeta Agamben potrebbe aver trovato a Roma i suoi discepoli. La barba di Cacciari potrebbe aver visto finalmente svelato il mistero della decisione ultima. Pare che Facebook, in nome della pericolosità di talune asserzioni, abbia censurato l’intervento pronunciato da Agamben al Senato di qualche giorno fa. Se questo trattamento in stile Trump è vero, si tratta del legittimo diritto di un editore privato che, stimando la possibile ricaduta violenta di certi assiomi, ne ha ostacolato la diffusione e non ha quindi esercitato la stessa amplificazione decisa dal gruppo Fiat. Invitato dai grillini in una audizione dinanzi alla Commissione affari costituzionali, Agamben ha ripetuto oralmente le sconcezze che aveva partorito per iscritto con Cacciari. La prima sua denuncia è che l’obbligo vaccinale non c’è stato solo perché con questo immorale espediente lo Stato costruisce un subdolo scudo penale e non paga i morti e feriti. Agamben confonde la protezione dei medici e infermieri che materialmente iniettano il vaccino con la furbata di uno “scudo penale” statale contro omicidio e lesioni colpose. Si tratta di una bufala clamorosa, raccolta naturalmente dalla Meloni, anche se si sfiora, come ha spiegato proprio sul “Riformista” il costituzionalista Salvatore Curreri, una colossale menzogna priva di qualsiasi fondamento giuridico.

Proprio dentro un palazzo del potere dipinto come totale e oppressivo, Agamben può denunciare che il novello tiranno Draghi ha reso l’Italia una dittatura persino peggiore di quelle del Novecento. In questo terribile Stato di polizia i cittadini italiani sono prede innocenti costrette ad assumere sul nudo corpo “un vaccino che non ha terminato la sua parte di sperimentazione”. Il professore di diritto privato Ugo Mattei, nella stessa sede istituzionale, ha scandito che il vaccino produce sui corpi gli stessi effetti letali dell’Eternit. La repubblica è dunque una cupa esperienza di morte.
Non contento di aver preso le difese del vaccinato che ha assunto un farmaco pericoloso risultando vittima sacrificale di una volontà di cura del potere immorale, Agamben diventa subito l’avvocato anche di chi la puntura la rifiuta e così subisce l’onta della “esclusione dalla vita sociale ed anche dalla possibilità di lavorare. E’ possibile immaginare una situazione giuridicamente, moralmente più abnorme?”. Un potere privo di base morale e giuridica non ha titolo alcuno per resistere ai disobbedienti di Agamben il quale scandisce che gli italiani nel tempo di Draghi “si trovano in una situazione peggiore di quelli dell’Unione Sovietica di Stalin”.

Dinanzi a questo Stato, irresponsabile, potenzialmente criminogeno, che nega la vita sociale e il lavoro cosa può mai trattenere l’individuo dalla estrema rivolta contro i simboli del potere che con la legislazione di Draghi “configura una vera e propria mostruosità giuridica”? Senza alcun senso di vigile controllo nell’uso delle parole e delle similitudini Agamben si chiede “come si possa accettare per la prima volta in Italia dopo le leggi razziali fasciste che si creino cittadini di seconda classe che subiscono restrizioni che sono identiche a quelle che subirono i non ariani: ma almeno loro potevano circolare”. Se il cittadino della repubblica versa in una condizione peggiore di quella vissuta dagli ebrei che almeno potevano circolare cosa mai li dovrebbe più trattenere dalla legittimità della violenza contro il potere che perfeziona dispositivi di controllo, sorveglianza, tracciamento, esclusione? Le parole di Agamben sono pietre scagliate contro la repubblica e evocano la resistenza attiva. “Si è arrivati al modello delle società di controllo digitale e virtualmente illimitato dei comportamenti individuali. Ci stiamo abituando a questi dispositivi di controllo ma fino a che punto siamo disposti ad accettare che si spinga?”.

Ripetendo concetti (si fa per dire) divulgati da Cacciari e raccolti dall’Espresso come oro colato, Agamben riconduce i provvedimenti Draghi (“decreti emanati da persone che con il parlamento hanno ben poco a che fare”) ad un gigantesco processo autoritario “di trasformazione delle istituzioni e dei paradigmi di governo, trasformazione che avviene senza cambiare il testo della costituzione, quindi surrettiziamente: vengono cancellate le democrazie parlamentari”. La svolta autoritaria, che svuota il parlamento in nome della “biosicurezza”, può essere contrastata solo con le risorse fattuali, non giuridiche e tutte esterne all’ordinamento. La convinzione di un apocalittico e in fuga precipitosa dal principio di realtà Agamben è che “sicurezza ed emergenza non sono fenomeni transitori ma rappresentano la nuova forma di governabilità”. E’ inutile ricordare a Cacciari, Agamben, Montanari, che il primo paese a introdurre un pass covid 19 è stato la Danimarca che peraltro non solo non lo ha in alcun modo eretto a modello permanente di sorveglianza ma che solo dopo alcuni mesi di sperimentazione, a risultati positivi raggiunti, lo ha abolito.

I movimenti fascisti non producono quasi mai una propria cultura, ne riciclano una che è occasionalistica, eterogenea e mai coerente sul piano dei programmi. Raccolgono le suggestioni che più servono da altri serbatoi. E questa volta le categorie di Cacciari, Agamben, sono la riserva da cui estrarre idee, metafore, demonizzazioni della repubblica. L’individualismo italiano ostile al bene pubblico in nome della libertà assoluta e svincolata da legami di solidarietà, una mentalità estranea all’intelletto scientifico sfidato con i miti, le pratiche alternative, è sedotto dalle prediche dei filosofi oracolari. Non c’entra nulla il sociologismo, la questione sociale, la piazza della rivolta è anzitutto un problema di cultura, di compenetrazione tra categorie “di sinistra” e movimenti di destra radicale, e per questo si tratta di un nodo ancora più intricato da sciogliere