Dopo la fine della egemonia democristiana, il paese è entrato in una fase di evidente e incontestabile declino economico, politico e anche sociale. Ma le analisi su quali fattori politici abbiano contribuito a condurci in questa situazione sono, quando esistono, spesso divergenti. In particolare, nelle riflessioni che Silvio Berlusconi ha di recente pubblicato sul Corriere, si sostiene che, grazie a lui, l’Italia è stata trasformata in una democrazia dell’alternanza. Non ci pare che sia così, anche (ma non solo) a causa delle scelte che egli stesso ha compiuto nel corso dell’esecutivo che ha presieduto.

Beninteso, il declino attuale non è imputabile, se non in parte, al governo del Cavaliere. Quest’ultimo ha avuto una grande occasione e una grande maggioranza che meritava forse un più deciso tentativo di fare uscire il paese dai suoi problemi, mentre, nel corso della sua presidenza, ha invece troppo spesso privilegiato interessi personali e circoscritti. E non ha voluto o saputo costruire una vera classe dirigente, perdendo con ciò la possibilità di formare, salvo meritevoli eccezioni troppo rare, una destra di governo all’altezza dei bisogni del paese e fra questi il nostro necessario rapporto con l’Ue. In realtà, dalla fine della egemonia della Dc, il paese ha visto l’alternanza fra governi guidati da politici ed esecutivi condotti da personalità esterne al professionismo politico.

Il primo governo Amato, nel 1992-93 era stato l’ultimo tentativo di tenere in vita un governo dei partiti della cosiddetta prima repubblica. Scalfaro chiama allora Ciampi a governare il paese. Ritorno breve dei politici e nel 1995 Scalfaro incarica Dini. Nuove difficoltà e Ciampi nel 2000 deve far ricorso ad Amato, ormai senza uno specifico partito di riferimento, anche se era un riconosciuto componente dell’establishment politico del centro sinistra. Dopo alcuni anni di un nuovo ritorno della politica, che si mostra incapace di mantenere l’Italia nella zona euro, Napolitano deve chiamare al governo un importante economista ed esponente accademico come Mario Monti, con esperienza di commissario europeo per la concorrenza e poi per il mercato interno.

Nuovo ritorno dei partiti politici e nel 2021 Mattarella, come diversi suoi predecessori, deve nuovamente chiedere di dirigere il paese a un esponente esterno alla politica, come l’ex presidente della Bce, attualmente presidente del Consiglio, che gode peraltro grande popolarità in Italia e di straordinaria reputazione all’estero. Se ne deduce che l’Italia, a differenza degli altri paesi europei, non sembra da oltre 25 anni capace di esprimere una classe politica in grado di guidare il paese e di tenerlo saldamente nella Ue. Di dar vita, cioè ad una vera democrazia parlamentare. Non c’è stata una vera alternanza, ma, piuttosto, un continuo succedersi di gravi crisi e tentativi di “salvataggio” con esponenti esterni al mondo della politica in quanto tale. Questo non è mai successo in altri pesi europei come Francia, Germania, Regno Unito e neanche in Spagna. La nostra versione del bipolarismo – che Berlusconi sostiene di aver creato – si inceppa continuamente. E oggi ci troviamo con una destra che nel suo insieme non appare quella liberale evocata dal Cavaliere (e che è spesso malvista dalle cancellerie europee) e una sinistra che è debole, frammentata e minoritaria.

Che cosa succederà dopo le prossime elezioni, nel 2023 non lo sappiamo con certezza. Ma oggi si può ragionevolmente supporre che il centrodestra torni al governo, come peraltro prevede lo stesso Berlusconi nel suo intervento. Nessuna certezza assoluta – la politica non è teologia – ma questo è ciò che pensa anche la grande maggioranza dei commentatori. A questo punto entrano in gioco i desideri. Alcuni (tanto a destra che a sinistra) vorrebbero importare il modello semipresidenziale (o, meglio, “a esecutivo dualista”) della Quinta repubblica francese, proprio ora che oltralpe sembra non funzionare più in modo soddisfacente (sul punto ci permettiamo di rinviare a un articolo pubblicato su “Astrid”, nel quale si sottolinea tra l’altro la difficoltà da parte degli elettori francesi a prendere sul serio le loro “seconde preferenze”). Indipendentemente da questo, è poco ragionevole pensare che le istituzioni politiche si possano trasportare da un paese all’altro, come automobili o bottiglie di vino. Il nostro bipolarismo è inceppato, e l’ingegneria costituzionale ed elettorale è solo una parte della soluzione del problema.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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